Quando un figlio arriva da lontano

Una scelta d’amore emozionante, ma con dei rischi. Le iniziative di Azione per Famiglie Nuove
Bambini

«Quando incontriamo per la prima volta le coppie che vogliono intraprendere il cammino dell’adozione internazionale, quasi sempre ci dicono di desiderare un “certo tipo di bambino”, un bambino ideale, per il quale magari azzardano sesso ed età… È l’inizio di un percorso: nei genitori maturerà la gratuità dell’atto che stanno compiendo e torneranno a casa con il “loro” bambino».

Marzia Rigliani mi accoglie nel suo ufficio, nella sede di Azione per Famiglie Nuove onlus, a Grottaferrata, nei Castelli Romani. Madre di tre figli, dai diciassette mesi ai sei anni, è responsabile del settore delle adozioni internazionali dal 2008, ma lavora in questo settore, mi spiega, «da quando, nel 2000, siamo diventati un ente autorizzato: un servizio nato per dare una risposta concreta a tanti bambini abbandonati nei Paesi in via di sviluppo e svolto nel rispetto del principio di sussidiarietà».

Tante le esperienze vissute, da condividere, assieme alle riflessioni su un “istituto” così complesso.

 

Rigliani, perché un’adozione internazionale?

«Oggi l’adozione internazionale è uno dei percorsi più complessi che una coppia possa affrontare. È un progetto ambizioso che spesso riguarda bambini grandi, con alti rischi sanitari. Per fare questa scelta la coppia deve avere una motivazione molto forte dentro di sé, capace di aprire le porte all’umanità. Questo produce una vera rivoluzione per la società di oggi: ci si prende cura dei figli di un altro popolo, quando questo non è in grado di farlo.

 

«In questo processo è importante che tutti concorrano a realizzare il miglior incontro possibile tra la coppia e il bambino, il quale, molto spesso, attende tanto tempo in un istituto i genitori che lo accoglieranno. Particolarmente importante è il ruolo dei nostri referenti esteri, i quali, più che figure che seguono pratiche burocratiche, divengono dei mediatori familiari, che accompagnano e facilitano la nascita del rapporto tra la coppia e il bambino, in continuità con il lavoro già svolto dalle istituzioni sul posto. A volte accade che, non creandosi un’empatia immediata con la famiglia, si dia al bambino del tempo per riflettere».

 

Perché e come parlare di “intercultura” per le adozioni internazionali?

«Bisogna riflettere su come l’aspetto interculturale, inteso come forma di accoglienza secondo un modello pluralista e di integrazione, sia certamente un valore per il procedimento adottivo internazionale. In un prossimo convegno (vedi box) non mancheranno famiglie adottive che lo racconteranno attraverso le loro esperienze. Nella formazione di Afn ci impegniamo infatti a preparare la coppia ad accogliere il bambino e il suo vissuto ma anche la ricchezza della sua cultura, ridonandogliela in modo che il bambino possa riconciliarsi con il suo Paese. Ci saranno pure diversi momenti di dialogo, perché crediamo che il confronto aiuti le famiglie ad affrontare i momenti delicatissimi dell’inserimento dei bambini: è fondamentale che non si sentano sole!».

 

Perché parla di riconciliazione?

«Attraverso l’amore della nuova famiglia si possono superare, totalmente o in parte, i traumi legati all’abbandono. I genitori, adottando, raccolgono la sfida di perdere i propri schemi di riferimento culturali e comportamentali. Rispettando l’identità del bambino lo aiuteranno a valorizzare anche le caratteristiche ereditate dal suo Paese di origine.

«Nello stesso tempo, però, è necessario che la famiglia sia sostenuta per favorire, nel miglior modo possibile, il processo di attaccamento del figlio ai nuovi genitori e all’ambiente sociale e culturale in cui dovrà vivere. In questo mosaico, in cui le diversità si integrano, crediamo che si gettino buoni presupposti per la riuscita di un’adozione».

 

Perché dite: “Se ami il mio Paese, ami me”?

«Ancora oggi, dopo tanti anni dal loro ingresso in Italia, i bambini sono sensibili ai commenti che sentono fare sul proprio Paese di nascita. Questo titolo è emblema del gioco d’amore che si mette in atto nell’adozione, per non far prevalere una cultura o l’altra. Esistono due realtà che si intrecciano, trasformando ogni famiglia in qualcosa di unico».

 

 

BOX

Se ami il mio Paese, ami me

Saranno circa 500 i partecipanti al convegno sulle adozioni internazionali che si svolgerà al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo l’11 e il 12 giugno prossimi. Intitolato “Se ami il mio Paese, ami me… percorsi interculturali nell’adozione internazionale”, ha ricevuto l’Alto patronato del presidente della Repubblica ed è promosso da Azione per Famiglie Nuove onlus, nata da Famiglie Nuove, diramazione del Movimento dei focolari. Afn è un ente autorizzato per le adozioni internazionali e opera in Brasile, Colombia, Vietnam, Lituania, Polonia e Filippine. Al convegno interverranno famiglie adottive con i loro bambini, coppie interessate alle adozioni internazionali, operatori del settore, referenti e rappresentanti di Afn all’estero. Nel corso dei due giorni ci saranno momenti formativi, di condivisione e dialogo. Dal 2000 sono circa 650 le coppie seguite da Afn per le adozioni internazionali e sono stati adottati 726 bambini. Sono inoltre più di 15 mila i bambini e le famiglie coinvolti nei progetti per l’infanzia nei luoghi di origine.

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