Quando lo Spirito Santo interviene

Qualche tempo fa mi è stata raccontata – non so più da chi – un’arguta storiella sulle effettive possibilità d’intervento dello Spirito Santo nella nostra vita e nelle nostre faccende, ecclesiali ma non solo.
Marko Ivan Rupnik

Qualche tempo fa mi è stata raccontata – non so più da chi – un’arguta storiella sulle effettive possibilità d’intervento dello Spirito Santo nella nostra vita e nelle nostre faccende, ecclesiali ma non solo.

Un giornalista, dopo molto penare, ottiene infine un’intervista niente meno che dallo Spirito Santo. La domanda che più gli sta a cuore la formula a bruciapelo, dopo i convenevoli, pressappoco con queste parole: «Ma senta, lei che in fin dei conti ha la parola decisiva nell’aiutarci a discernere le situazioni anche più intricate e a prendere di volta in volta le decisioni più opportune, perché – a quanto troppo spesso si costata – interviene così di rado?». La risposta è venuta subito e di getto. «Beh, veda – ha detto più o meno l’intervistato –, quando mi s’invoca all’inizio di riunioni, consigli e assemblee, subito mi precipito per offrire l’aiuto che mi è chiesto, ma quando arrivo… i giochi son fatti e tutto è già deciso!».

 

Irriverente? Non direi. Mi sembra piuttosto che l’apologo veicoli un prezioso insegnamento che è, insieme, teologico ed esistenziale: non si può chiedere che lo Spirito intervenga a darci luce e forza, se di fatto noi non gliene diamo lo spazio. E ciò vale per ciascuno di noi. Occorre con coraggio azzerare precomprensioni, pregiudizi e decisioni preconfezionate, per metterle al fuoco della sua ispirazione, che il più delle volte spariglia le carte e ci sorprende. Di fronte a Dio – come ho udito dire un giorno da Chiara Lubich – occorre stare “nudi” e “vuoti” di tutto.

 

Ma ciò vale anche quando ci si mette insieme per capire il da farsi, nelle piccole come nelle grandi cose. Lo Spirito Santo, di fatto, altro non vuole se non inter-venire, e cioè venire in mezzo a noi per accendere i cuori e illuminare le menti. Ma affinché ciò accada occorre non voler dettare noi a tutti i costi la tabella di marcia, i giudizi da formulare, le decisioni da prendere.

Bisogna essere distaccati, aperti gli uni verso gli altri e tutti insieme verso di lui, mettendo a profitto ciò che possiamo e sappiamo come un dono. Non per affermare noi stessi, ma per accogliere i suggerimenti dello Spirito, il più delle volte sussurrati a bassa voce, e che perciò, per essere captati e decifrati, esigono pazienza e ascolto di tutti, in disarmata reciprocità.

 

In fondo, non significa proprio questo impegnarci a fare di tutti i luoghi di vita, discernimento e indirizzo nella Chiesa altrettante “case e scuole di comunione”, come auspicato da Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte, la lettera apostolica che ha voluto dare il “la” al terzo millennio dell’era cristiana?

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