Quando la Salute Pubblica incontra il singolo: conflitto insormontabile?

Pasquale Di Mattia

L’interessante articolo di Pasquale Di Mattia pone l’accento sul percorso, apparentemente condotto su binari paralleli, del Pubblico e del Privato, nell’approccio alla Salute. La radice del conflitto sembra stare nella difficoltà di trovare un equilibrio ed una integrazione tra il bene comune e la libertà individuale.

 

 

 

1)    Dottor Di Mattia, dal suo articolo si evince il suo impe

gno in Sanità: ci può spiegare più precisamente di cosa si occupa

 

In passato per diversi anni ho collaborato con l’OMS e la Comunità Europea.

Al momento lavoro come dirigente medico in una direzione sanitaria di Ospedale, per cui sono giornalmente coinvolto in tutte le problematiche legate al nuovo indirizzo della politica sanitaria che porta da un lato alla riduzione dei posti letto, delle risorse… e dall’altro alla crescita vertiginosa dei bisogni della popolazione con conseguenti lunghe liste d’attesa, malcontento generale (degli utenti e degli operatori), aumento delle patologie.

 

 

2)    Nel suo articolo cita il “Saggio sulla Libertà” di J.S. Mill, dove alla sovranità individuale, indiscutibile, si pone il limite dell’altrui danno. Cito una sua frase: «armonizzare il diritto del singolo con il bene comune è intendere la “giustizia” non solo come giusta distribuzione dei benefici, ma anche dei rischi». Potrebbe approfondire questo concetto declinandolo nel conflitto tra Salute Pubblica e Libertà individuale?

 

Intanto l’affermazione che lei cita deve essere contestualizzata: stavo parlando della problematica legata alle vaccinazioni ed al concetto di “immunità del gregge” sul quale rimando all’articolo. Ciò che in generale volevo sottolineare, anche quando riprendo il concetto di “giustizia” riferito all’ambito della qualità dei servizi, di cui tanto si parla, è che la prospettiva alla quale siamo stati abituati è quella dell’individuo, che è portato, per l’evoluzione culturale del nostro tempo, a considerare la società come un sistema finalizzato all’adempimento dei propri bisogni ed aspettative: giustizia, in questo contesto, vuol dire, quindi, che io devo avere quanto gli altri. Questo atteggiamento, secondo me, è una delle cause che sono alla base della difficile realtà sanitaria a cui accennavo prima, per la quale, al momento, non vedo nessuna via d’uscita se non quella che parte, appunto, da una presa di coscienza di ciascuno di noi sulla responsabilità etica, sociale, che abbiamo nel cercare di mantenerci quanto più possibile in salute, evitando quegli stili di vita e quelle abitudini dannose che potranno essere un giorno motivo di costose prestazioni diagnostiche e terapeutiche che avrebbero potuto essere evitate. In alcuni contesti le assicurazioni private pagano le spese sanitarie anche in funzione della natura delle patologie, considerando la loro origine più o meno legata alle abitudini dell’individuo: voglio rischiare con la mia salute? Bene! Però poi occorre che me ne assuma le responsabilità e… il costo!

 

 

3)    Ho trovato molto interessante il dubbio etico riguardo lo stigma sociale che potrebbe derivare dalle campagne di prevenzione primaria. Tuttavia, esse sono uno strumento, in mano alla Sanità Pubblica, davvero utile al bene del singolo e della società. Ritiene possibile conciliare questi due aspetti? Se sì, le viene in mente un esempio di campagna di prevenzione efficace e ben riuscita in tal senso?

 

Sicuramente penso sia possibile conciliare il bene del singolo con quello della società; in fondo era questo il senso del mio articolo. Certo, devo essere sincero, personalmente sono molto scoraggiato dai risultati ottenuti finora dai programmi di prevenzione primaria che hanno puntato sulla responsabilità dell’individuo e sui quali si sono investite in passato notevoli risorse. La cosa strana è che per poter ottenere un qualche risultato occorre che ci sia l’imposizione da parte di una qualche legge, che poi, in ogni caso sarà trascurata da un certo numero di persone. Basti pensare al fumo: si sa per certo che esso causa diverse tipologie di cancro e di malattie croniche debilitanti, eppure la gente continua a fumare tranquillamente. Il fatto è che, come dico nell’articolo, quando un programma di prevenzione primaria intacca la libertà dell’individuo i risultati sono minimi, perché la mentalità comune ha svuotato parole come “bene del singolo” e “libertà” di quelle caratteristiche di sacrificio e di impegno che ne costituiscono parte integrante e senza le quali non ci può essere vero benessere e vera libertà. Concretamente, io penso che uno dei modi per poter ottenere risultati come prevenzione primaria è di puntare all’azione dei Medici di medicina generale e dei Pediatri di libera scelta che hanno la possibilità e l’obbligo di guardare alla situazione del singolo la cui salute è affidata a loro, e di aiutarlo a mantenersi in salute, per quella parte che ci è data di conoscere e di controllare.

Un programma in cui sono stato coinvolto a livello europeo che mi pare abbia dato dei risultati proporzionali alle risorse impiegate, è stato quello portato avanti nelle scuole per la prevenzione dell’obesità infantile: puntare all’educazione in questo senso nelle scuole penso possa essere un’arma potente perché aiuta quel cambiamento culturale che, secondo me, sta alla base del conflitto libertà individuale-bene comune.

 

 

4)    Il suo articolo pone numerose domande che rimangono aperte nel dibattito contemporaneo e mette in luce una sorta di percorso su binari paralleli che sembrano fare, da un lato la bioetica improntata sul bene del singolo paziente, dall’altro l’etica di Salute Pubblica. Come farle incontrare? Lei individua una possibile risposta «nell’evoluzione del rapporto tra la persona e la società», in quella «consapevolezza dell’interdipendenza che lega tra loro le persone, i popoli, gli Stati». Potrebbe spiegare meglio il concetto e il valore di queste sue parole?

 

Ciò che voglio dire è che a volte non c’è nell’individuo la piena coscienza di quanto il suo operato, in qualsiasi ambito, abbia delle ripercussioni, positive o negative, su quanti lo circondano e sulla società nel suo insieme. Siamo stati troppo abituati a pensare che il mio corpo, la mia salute, il mio agire, se non arrecano nessun danno all’altro direttamente, sono mia proprietà e li posso gestire per come ritengo più opportuno. Dal mio articolo si evince che questo modo di vedere ha avuto, in un dato momento storico e culturale, il grosso merito di aver dato la giusta dignità all’individuo; oggi, però, viviamo in una società che si è evoluta, che ha rotto barriere di confine, lingua, informazione, scambi culturali, e che quindi esige un cambio di marcia anche nel rapporto col singolo individuo. Mi verrebbe da dire che il pensare che sono signore del mio agire e della mia persona oggi come oggi è anacronistico. Attenzione: non voglio con questo negare il valore dell’individuo, voglio solo dire che questo è oggi chiamato a un’ulteriore evoluzione antropologica, filosofica, secondo me fondamentale: per milioni di anni l’essere umano si è evoluto in senso fisico e psichico; adesso l’evoluzione a cui siamo chiamati è invece di natura sociale, siamo chiamati a mutare il nostro parametro relazionale, sia come singoli che come società, come popoli, come nazioni; occorre passare dalla necessità di sopravvivenza che legava i nostri antenati, e li spingeva a stare insieme, all’impegno di essere dono per l’altro, e ciò ci fa essere veramente persone, società e nazioni “evolute”.

 

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