Quando la chiesa apre le porte

Milano: 150 rom "sgomberati", tra i quali quaranta bambini. La disperazione. La generosità di un quartiere. Il rifugio nella chiesa.
sgombero rom

La chiesa è gremita di persone, assiepate nelle panche. Molti sono bambini, alcuni di loro sono molto piccoli come spesso accade durante le festose messe domenicali dell’avvento. Ma questa fredda e piovosa domenica autunnale non è una giornata come tutte le altre. Le persone che affollano la chiesa sono i rom che vi hanno trovato rifugio per disperazione dopo essere state sgomberate dal vicino campo alla periferia est di Milano.

Questa pacifica occupazione è stata preceduta da giorni frenetici. Le maestre della scuola elementare dove i bambini rom si erano inseriti con buoni risultati, le associazioni di volontariato, gli oratori, le Acli, la Comunità di Sant’Egidio, si erano mobilitati per impedire lo sgombero. L’elevato numero di bambini (più di quaranta in tenera età), la presenza di donne incinte e infine l’impegno mantenuto dalle famiglie a mandare a scuola i figli richiedevano un intervento sociale più attento.

 

Nessun indugio: lo sgombero, un popolo di 150 persone sotto la pioggia per giorni e infine l’ingresso stamattina nella chiesa. Don Mario si è trovato così inaspettatamente la chiesa gremita all’alba della domenica, ma di fronte a quel popolo di donne e bambini, con gli occhi stanchi, bagnati dalla pioggia e carichi solo delle loro poche cose ha dichiarato: «Noi non mandiamo via nessuno e alla polizia che mi chiedeva l’ordine di intervenire ho risposto no».

Don Mario è stato sostenuto in queste ore da tutta la chiesa locale. «Vedo con preoccupazione la situazione – ha commentato don Roberto Davanzo, direttore della Caritas ambrosiana –, perché gli sgomberi fatti senza prevedere soluzioni alternative, rischiano solo di spostare la gente di qualche centinaia di metri. Da sempre noi siamo contrari alla logica dei campi abusivi, degradati e indegni. Ma in questo campo c’erano molti bambini che frequentavano la scuola anche con profitto e questo sgombero rischia di interrompere la possibilità per loro di andare a scuola, di compiere un certo processo integrativo».

 

Un’integrazione che, pur tra difficoltà e a dispetto di ogni retorica politica, sta muovendo passi significativi e che è emersa in queste ora nei molti gesti di amicizia e solidarietà. Alcune insegnanti hanno deciso di accogliere i piccoli rom nelle loro case. La storia di Stefania Faggi. da quasi quarant’anni impegnata nella scuola, che ha accolto in casa una piccola alunna merita di essere raccontata: «Non avrei mai potuto tornare a casa, a dormire nel mio letto, se Cristina fosse rimasta in strada. Non avrei chiuso occhio pensando a lei e alla sua famiglia sotto il ponte, al freddo. Perché l’ho fatto? Che senso ha questa domanda? Non sarei una persona normale, sarei un essere disumano se non mi fossi portata quella bambina a casa e se non avessi cercato un posto anche per la sua famiglia». A Cristina ha aperto il suo monolocale che condivide con un cane e un gatto.

 

I genitori della classe hanno voluto ricomprare a Cristina tutto quello che ha perso nello sgombero, lo zaino della scuola, i quaderni, l’astuccio. Non si è trattato di gesti nati sull’onda dell’emozione, racconta un sacerdote della zona. «Le famiglie che hanno aiutato i rom sono le stesse che da più di un anno hanno imparato a conoscerli mediante il progetto di integrazione attivato nel quartiere. Sono quelle i cui figli sono compagni di classe dei giovani rom, quelle che hanno seguito i corsi di approfondimento e di socializzazione nei confronti della realtà dei nomadi».

Ancora una volta una prova del ruolo cruciale che la scuola e la Chiesa locale possono svolgere per creare le condizioni di una nuova convivenza.

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