Quando il volontariato paga l’affitto

La Caritas di Treviso offre a sei giovani alloggio gratuito in una delle sue strutture. In cambio dell'impegno a mantenere attivi i servizi per i senzatetto che vi hanno sede.
Caritas Treviso

Il posto lo si trova facilmente: il cartello con scritto “Centro ascolto Caritas” è ben visibile, non si può sbagliare. Ciò che forse non si immaginerebbe è che in questo enorme stabile – un ex oratorio poco distante dalla stazione ferroviaria di Treviso – c’è chi ci abita. Sei ragazzi del Movimento dei focolari – Davide, Giacomo, Marco, Federico, Daniele e Francesco – hanno scelto di vivere qui con un contratto di affitto alquanto originale: la casa è a loro disposizione, in cambio dell’impegno a tenere aperte, pulite e funzionanti le docce per i senzatetto che si trovano al piano terra.

 

Tutto è iniziato tre anni fa: «Lavoravo alla Caritas – racconta Davide – e il direttore mi ha raccontato che c’era bisogno di qualcuno che vivesse qui non solo per tenere aperte le docce, ma anche per garantire la manutenzione, l’accoglienza in caso di bisogno al di fuori dell’orario di apertura, e la sicurezza soprattutto di notte». All’epoca Davide viveva insieme ad altri ragazzi in una casa poco lontana. «Così ho proposto di trasferirci tutti, e due anni fa siamo entrati a regime». Ogni martedì e venerdì, dalle 18 alle 20, aprono le porte ai senzatetto. Forniscono loro asciugamani puliti – testimone la lavatrice che sta lavorando a pieno carico – una lametta da barba, sapone e disponibilità all’ascolto. «E per quella non ci sono orari – precisano – capita che qualcuno rimanga a cena con noi, o arrivi in un giorno in cui non apriamo. Sanno che siamo qui».

 

Sono le 17.30, e già qualcuno inizia a mettersi in coda nel cortile. Federico, l’ultimo arrivato nella compagnia, si prepara a scendere con un carico di asciugamani. Frequenta il terzo anno di giurisprudenza a Treviso, ha sempre fatto il pendolare, ma dalla settimana scorsa ha deciso di fermarsi qui. «Già in passato approfittavo ogni tanto dell’ospitalità, e ora che lo studio diventa più impegnativo tornare a casa ogni sera sarebbe davvero disagevole. Certo devo ancora ambientarmi, mi ci vorrà un po’». C’è da credergli: queste stanze enormi, in cui la gente va e viene continuamente ed arredate alla buona, sono qualcosa di ben diverso dalle mura domestiche.

 

I ragazzi scendono ad aprire le docce. Li raggiunge un volontario della Caritas, che si posiziona al banchetto all’ingresso dello spogliatoio. Ciascun utente – dai 25 ai 30 ogni sera, numero che si è mantenuto costante in questi anni – viene registrato, e chi può lascia 50 centesimi di contributo. I primi quattro della fila entrano in doccia, mentre gli altri si siedono nella saletta antistante. «Il nostro – spiega Davide – vuol essere anche un servizio educativo: saper attendere il proprio turno, rispettare gli ambienti, se stessi e gli altri è qualcosa che spesso si disimpara vivendo in strada. La pulizia e il decoro sono parte della dignità di una persona».

 

Mentre aspettano, i senzatetto scambiano qualche parola tra di loro e con i ragazzi. Sono solo uomini, quasi tutti stranieri. E nella Treviso dello sceriffo Gentilini, nemmeno qui si è al riparo da certi pregiudizi: «Capita che gli italiani ci mettano in guardia dagli extracomunitari, perché, dicono, è gente che ruba – racconta Davide – ma questo servizio funziona anche da centro di aggregazione. La maggior parte sono “frequentatori abituali”: si conoscono, fanno amicizia, e superano i luoghi comuni. Non è mai accaduto alcun episodio spiacevole, anche se è evidente che non tutti hanno la coscienza pulita. Sappiamo che è così, ed accettiamo il rischio. E poi, cosa ruberebbero? Sanno che qui tutto è a disposizione». A cominciare dal cibo: Federico mostra scatoloni interi di crackers perfettamente commestibili, ma scartati dalle aziende perché confezionati male. Un ben di Dio che qui certo non va sprecato. E all’imperfezione della forma si sopperisce con la distribuzione: Francesco sistema alcune merendine in un cestino all’entrata delle docce con particolare cura, perché «così è più bello».

 

Tra una chiacchiera e l’altra, i ragazzi spiegano come si coordinano con gli altri servizi della Caritas e del Comune: mense, distribuzione di vestiario, centro di ascolto. «Purtroppo, soprattutto d’estate, molti di questi chiudono – osserva Davide – e le associazioni e il Comune tendono a scaricarsi l’un l’altro la responsabilità di tenerli in funzione. Il fatto che qui ci sia sempre qualcuno è garanzia di continuità». Anche durante le ferie: «L’anno scorso abbiamo fatto il pranzo di Natale con alcuni di loro. Cucina algerina: un Natale insolito, ma da ricordare».

 

Inutile chiedere ai ragazzi quante storie hanno incrociato lungo questo cammino: «È l’aspetto più interessante – afferma Francesco – e certo non saprei ricordarle tutte. Ma mi hanno insegnato a relazionarmi con la povertà». Qualcuna di queste, però, è rimasta impressa a tutti. Come quella del ragazzo rumeno appassionato di cinema, che si intrufolava sempre in sala di nascosto. Con i dieci euro guadagnati falciando l’erba del prato al centro d’ascolto è subito corso a comprare un biglietto, per vedere finalmente un film a testa alta. O quella di un vecchio che non si reggeva nemmeno in piedi, e che i ragazzi hanno dovuto spogliare e lavare aiutati da altri senzatetto. Una solidarietà che sulla strada non si vede spesso.

 

La collaborazione tra Caritas e giovani è destinata a crescere: è allo studio un progetto di sviluppo per mettere a norma l’intero edificio, e trasformarlo in un centro d’accoglienza. In una qualsiasi città universitaria, un “patto di alloggio” come questo può fare comodo a molti studenti. Il futuro del terzo settore? Davide esprime qualche riserva: «È una possibilità, ma questo non è un contratto. Deve esserci una scelta precisa di gratuità alla base, una volontà di andare oltre il minimo. Non possiamo cacciare fuori la gente dalla doccia perché è ora di chiudere, o rifiutarci di lavare gli unici vestiti che una persona possiede perché non è compito nostro. Abbiamo anche ospitato qualcuno per la notte in passato: non abbiamo paura, ma sappiamo di rischiare. Se questa formula di volontariato avrà successo anche altrove, ben venga, purché però non perda il suo valore».

 

Sono le otto e venti. Ormai le docce sono quasi deserte, ma la gente si ferma a chiacchierare in cortile. Daniele sale a buttare la pasta. Anche stasera, probabilmente, qualcuno che di solito cena in strada si fermerà a mangiare attorno ad un tavolo.

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