Quando il conflitto diventa predominante

La comunità civile si estende e prende vita nei borghi, nei paesi, nelle città, nelle nazioni. In questi luoghi si compone la convivenza tra persone, gruppi e istituzioni. La convivenza viene poi regolata da leggi e costumi per poter progredire e svilupparsi. Si richiede altresì il consolidamento di atteggiamenti e comportamenti carichi di valori positivi condivisi, quali la buona educazione, il rispetto, la cortesia e, forse, qualcosa di più: l’amicizia, la fratellanza. Una convivenza civile così composta ha un’anima, una identità, un volto pienamente riconoscibile. Ma la convivenza può entrare – e di fatto avviene spesso – in una fase di anomia, ovvero di sfilacciamento delle regole sociali e delle norme del buon vivere. Spesso, in questi casi, succede che in quella determinata convivenza prende il sopravvento il paradigma del conflitto. I rapporti si raffreddano, cala la fiducia reciproca, emerge la contrapposizione che si allarga sino a sfociare in un vero e proprio conflitto generalizzato. I segni di una tale anomalia si rendono evidenti. La comunità entra in uno stato di crisi. La contrapposizione si estende a tutti i livelli. Non solo, le contrapposizioni si alimentano e nutrono vicendevolmente, si inseguono e si accrescono. Il risultato? Un decadimento sotto tutti gli aspetti, un malessere generalizzato nel quale ognuno colpevolizza l’altro, ognuno chiama in causa qualcun altro. Il paradigma del conflitto diventa predominante. E anche nel cercare le soluzioni si evidenziano i segni della crisi. I pareri non solo sono diversi (fattore positivo) ma, contrastanti (fattore negativo). Una tale società è stravolta. Come uscirne? Vorrei indicare due elementi che – a mio parere – sono indispensabili per il cambiamento. Anzitutto una presa di coscienza della situazione. Una specie di esame di coscienza collettivo, piuttosto radicale, con l’assunzione delle proprie responsabilità e il corrispondente impegno per una correzione di rotta. Un momento di pausa, di riflessione, di silenzio per ridare alle parole e agli atteggiamenti contenuti più pregevoli, più sostanziali. Ci vuole ragionevolezza coniugata con una buona dose di buon senso. E poi bisogna augurarsi l’emergere, in tutti i campi, di veri leader – preparati, onesti, disinteressati – che sappiano indicare alla comunità idealità perdute, percorsi da esplorare, comportamenti da assumere in vista di un bene comune da raggiungere. Leader – non capi popolo – che incarnino ciò che annunciano e che diventino, se non modelli, veri e propri punti di riferimento.

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