Quando ad educare è la testimonianza

Non è consueto vedere degli adolescenti di 16-17 anni, perfettamente normali, stare incollati alla sedia per due ore in una sala piena di adulti che, ironia della sorte, parlano proprio di educazione. Sorpresa, la mia, che ero al tavolo dei relatori, accresciuta dalla costatazione che potevano essere proprio miei alunni, quelli stessi che ritrovo ogni giorno a scuola dove è tutt’altro che scontata una tale atmosfera. Sorpresa, anche, nel sentire queste parole di Silvia, 16 anni: Bastano tre parole per descriverlo. Tessitore di sogni. Non posso far altro che ricordarlo così. E così, compare davanti agli occhi, la schiena piegata dalla malattia, ma il sorriso puro della purezza di bimbo, gli occhi dolci ora spenti. Dietro ogni sua storia si avverte la malinconica lotta tra lui e il grigio della vita; lotta impari e dura che, anche se non sembra, ha vinto lui. E finché un solo bambino o adulto leggerà le sue storie, continuerà a vincere lui; e con lui chiunque crede nel giusto. Amava definirsi nostro nonno adottivo. Temo di essere troppo cresciuta per chiamarlo così, voglio attribuirgli un titolo che mostri tutto il mio rispetto: quindi grazie, maestro, grazie di tutto. Ho capito allora che il segreto di quei ragazzi in sala era proprio lui, Egidio Santanché, che i lettori di questa rivista hanno imparato ad apprezzare nei tanti anni di collaborazione in qualità di pediatra e neuropsichiatra infantile. La sua figura era al centro dell’interesse dei primi tre incontri del Corso per genitori ed insegnanti organizzato dal I Circolo didattico della scuola XXV aprile di Civita Castellana in collaborazione con l’Amu (Associazione per un mondo unito) e il Movimento Umanità Nuova del Lazio e sotto il patrocinio della diocesi, che ha messo ha disposizione la splendida sala conferenza della Curia vescovile, e del comune. Un Corso interessante e provocatorio perché voleva essere non tanto una dotta disquisizione su tematiche accademiche spesso fine a sé stesse, quanto una occasione di approfondimento culturale e metodologico per insegnanti e genitori tramite la proposizione del pensiero, come si legge anche nell’invito, di valide figure di riferimento come Egidio Santanché, medico, scrittore, educatore al servizio dell’infanzia, e Alice Sturiale, morta all’età di dodici anni per una grave malattia. La sua esperienza raccolta ne Il libro di Alice è un chiaro esempio di come gli stessi bambini possano essere educatori. Come ha sottolineato la direttrice del I Circolo Danila Annesi, introducendo il primo incontro: Con questa iniziativa speriamo di offrire un piccolo contributo alla soluzione dei tanti problemi educativi che tutti dobbiamo affrontare come genitori o insegnanti. Lo vogliamo fare come ha fatto il dott. Santanché, che da adulto si è fatto bambino per meglio comprendere i problemi dei bambini ed aiutarli. Era stata proprio lei a volere fortemente il Corso alla notizia, nel giugno scorso, della scomparsa di Santanché: con lui, infatti, c’era stata, anni prima, un’intensa esperienza di interazione e corrispondenza che aveva coinvolto alcune classi della scuola elementare. Gli alunni, allora bambini, erano proprio gli stessi ragazzi che in questi incontri hanno testimoniato quanto tale esperienza abbia lasciato in loro un segno indelebile. Le prime tre puntate del Corso hanno sottolineato così il racconto di questa esperienza soprattutto tramite l’appassionata testimonianza della maestra Gabriella Berardi e di altre sue colleghe: continuando – ad opera di chi scrive – con la presentazione della vita, del lavoro e del pensiero del dott. Santanché attraverso suoi scritti; per concludersi poi con l’approfondimento su un tema delicato e importante – cui egli aveva dedicato molta attenzione – quale il problema dell’uso della tv e del suo impatto sui bambini, grazie anche al contributo del giornalista Rai Gianni Bianco. A conclusione del Corso, la testimonianza dei genitori di Alice Sturiale, in una sala commossa e partecipe. Tanti i bambini che con i loro cartelloni e le loro domande hanno contribuito a rendere visibile e credibile il messaggio educativo di una storia che, pur se dolorosa nella sostanza, si è rivelata un forte segnale di speranza per tutti. Se oggi, come è stato detto non si ascoltano più i maestri quanto i testimoni, a Civita Castellana si è sperimentato che anche su un tema complesso come l’educazione, ad avere l’ultima parola è la testimonianza, e questa non ha età. Come dimostrano queste parole riferite ad Alice: Era innamorata della vita: la gente, il cielo, la montagna. (…) Divorava il cielo coi suoi grandi occhi. (…) Da ferma sapeva volare e far volare. (…) In ogni sua pagina, in ogni sua riga esplode incontenibile il sentimento luminoso della gioia. (…) Dal suo sguardo, dal suo sorriso traspariva una contagiosa allegria.

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