Prove di dialogo nel Medioevo

Abraham Bar Ḥiyya (ebreo) e Platone Tiburtino (cristiano) si incontrano a Barcellona e lavorano assieme per il bene dell’umanità
Medina_Azahara_Salón_Rico (CC BY-SA 3.0, commons.wikimedia.orgwindex.phpcurid=985097)

Capita oggi alla parola “dialogo” un po’ cosa accadde alla parola “rivoluzione” negli anni ’60. Viene usata ovunque, a proposito e a sproposito, sbandierata in tutti i contesti. È diventata una parola magica.

Il dialogo è visto come la panacea di tutti i mali, l’antidoto a tutti i guai: dalla guerra ai disaccordi politici ai problemi matrimoniali, dalle controversie religiose alle più scottanti tematiche sociali. È proprio tanta cosa (ma non converrebbe elaborare un bugiardino del dialogo, così come per tutti gli altri farmaci?). Non intendo però addentrarmi in queste problematiche, che sono di competenza di persone ben più preparate di me sull’argomento, ma soltanto ricordare un fatto capitato nel Medioevo, un millennio e rotti fa.

Siamo a Tivoli, quella cittadina così bella, con il suo tempio di Vesta che guarda dall’alto le gole dell’Aniene, e con ai suoi piedi la Villa Adriana. Lì, intorno al 1100, viveva un tale a cui avevano dato il nome di Platone. Quando dai a un bambino un nome così, che cosa ti aspetti? Difficilmente che diventi un maniscalco.

Infatti Platone Tiburtino fu un giovane dall’intelligenza vivace, che si occupava di scienza, di matematica, di astronomia e astrologia. Venne a sapere che in Spagna viveva un tizio che di queste materie ne masticava più di lui. Si mise in viaggio per incontrarlo. All’epoca la Spagna era un posto… interessante. Nell’antica Cina, quando uno voleva mandare una maledizione a un suo simile, gli diceva: «Che tu possa vivere in tempi interessanti». Perché di solito i tempi interessanti sono tutt’altro che tranquilli.

La Spagna di allora era una polveriera (anche se la polvere da sparo in Europa non era ancora utilizzata). Per alcuni secoli era stata parte integrante del mondo islamico. E durante quel periodo gli ebrei erano trattati alquanto bene dai dominatori. Poi, mentre all’est infuriavano le crociate, i regni cristiani settentrionali della penisola iniziarono la Reconquista, cacciando i musulmani.

Stranamente, i cristiani rimasero relativamente tolleranti nei confronti degli ebrei, mentre i musulmani, forse incattiviti per la sconfitta, iniziarono a perseguitarli nei territori che ancora controllavano.

L’ebreo Abraham Bar Ḥiyya viveva in uno di quelli. E per trovare un posto più sicuro, se ne andò in un regno cristiano, a Barcellona. Platone Tiburtino lo trovò lì. Tra i due scattò subito una scintilla. Abraham Bar Ḥiyya era un genio straordinario. Si era assunto il compito di rendere accessibili agli ebrei la scienza, la matematica, la geografia e l’astronomia.

Componeva saggi scientifici in ebraico, unendo le proprie intuizioni a traduzioni di fonti antiche e islamiche. La sua opera ebbe un’importanza enorme nel Medioevo e influenzò anche i secoli che seguirono. Tanto che ancor oggi Abraham Bar Ḥiyya è riconosciuto come “il primo scienziato ebreo”. Lui conosceva l’arabo, il greco e il catalano.

Quando Platone e Abraham s’incontrarono, compresero che, nonostante appartenessero a religioni diverse, potevano lavorare assieme per il bene dell’umanità. Si capivano a stento. Così Platone imparò il catalano. Abraham gli traduceva le sue opere ebraiche in un catalano colloquiale, poi discutevano a lungo per essere sicuri di essersi capiti bene, quindi Platone le scriveva in latino.

I loro testi contribuirono allo sviluppo di diversi campi della scienza e della medicina in Europa. Collaborarono per vent’anni. Poi Abraham Bar Ḥiyya, che era più grande di Platone di una trentina d’anni, morì. Platone Tiburtino, dopo la scomparsa dell’amico, continuò l’opera iniziata con lui, portando nel mondo cristiano i fondamenti della geometria, della trigonometria e dell’algebra.

Quella di Abraham e Platone è una singolare prova di dialogo ante-litteram avvenuta nel Medioevo: un ebreo e un cristiano, nella Spagna del XII secolo devastata dalla guerra, si erano seduti insieme e avevano distillato il meglio della conoscenza dell’epoca.

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