Proteggere i luoghi di culto delle religioni

Un codice redatto da un consiglio interreligioso contro gli atti di vandalismo, ma che educa anche ad una convivenza tra le diverse fedi
Bosnia Erzegovina

Per un paese come la Bosnia Erzegovina, che nella guerra tra il 1991 e il 1995 vide contrapporsi le comunità islamiche, ortodosse e cattoliche avere  realizzato un consiglio interreligioso, che include gli ebrei e che dal 1997 realizza progetti efficaci a favore della convivenza e della pacificazione, non è cosa da poco.

 

Bisogna tornare a quel 9 giugno 1997 per comprendere l’oggi e gli sviluppi di questo consiglio. In quel giorno furono il Gran mufti Mustafa Ceric della comunità islamica, il metropolita Nikolaj della chiesa ortodossa serba, il cardinale Vinko Puljic della chiesa cattolica romana e Jakob Finci, presidente della comunità ebraica della Bosnia-Erzegovina, a firmare la dichiarazione di “impegno morale condiviso”. Il testo inizia ricordando il passato: «i popoli della Bosnia Erzegovina sono passati attraverso enormi sofferenze. Ma, grazie a Dio, la guerra è finita. Il nostro compito ora è quello di stabilire una pace durevole fondata sulla verità, la giustizia e la convivenza». E prosegue rifiutando ogni atto di violenza: «Noi, uniti, riconoscendo le nostre differenze religiose, condanniamo ogni violenza contro le persone innocenti ed ogni forma di abuso o violazione dei diritti umani fondamentali». Dal 1997 le azioni realizzate sono state tante. Al giorno d’oggi i gruppi di lavoro attivi all’interno del Consiglio Interreligioso sono cinque e si concentrano su tematiche ben precise: giustizia, media, educazione, questioni di genere e giovani.

Emir Kovačević, segretario generale, racconta una delle ultime sfide raccolte dal Consiglio Interreligioso della Bosnia Erzegovina. Si tratta di un’iniziativa lanciata nel novembre del 2010 che mira a favorire la protezione dei luoghi sacri. «Il progetto presenta molti vantaggi, – spiega Kovačević – porta a una condanna collettiva degli attacchi agli edifici sacri e alla solidarietà verso le vittime; incoraggia il dialogo interreligioso all’interno delle comunità locali; spinge la polizia e le altre autorità competenti a svolgere meglio il proprio lavoro; e infine permette di raccogliere dati e studiare le misure che potrebbero offrire una maggiore protezione ai luoghi di culto».

Questo codice interreligioso vuole sensibilizzare le comunità riguardo al triste costume del vandalismo a danno degli edifici di culto e lo sta facendo attraverso una campagna di comunicazione, sia diretta attraverso le comunità religiose che indiretta, grazie ai mass media. Quando ha luogo un attacco o un atto di vandalismo contro una sinagoga, una moschea o una chiesa, la comunità è invitata a compilare un modulo con tutte le informazioni utili legate all’evento. Ciò permette al Consiglio di poter dare visibilità attraverso la stampa – che in questa fase iniziale del progetto si è dimostrata una potente alleata – alla condanna comune da parte dei leader religiosi, di mantenere un archivio con i dati riguardanti gli attacchi e di monitorare e sollecitare il lavoro delle forze di sicurezza competenti.

 

I curatori del codice insistono sull’importanza dell’analisi dei dati raccolti, perché «può portarci ad identificare la causa degli attacchi frequenti ai siti religiosi per essere in grado poi di preparare delle proposte specifiche per le istituzioni chiamate a risolvere questi problemi. Per esempio, se i presunti responsabili dell’azione vandalica provengono da una certa scuola, si può proporre un corso sulla tolleranza in quella scuola». 

 

A cinque mesi dall’inizio del progetto il segretario Kovačević è soddisfatto dei risultati raggiunti e le reazioni pubbliche sono state ottime su tutti i fronti: media, rappresentati religiosi delle autorità locali.  Ottimi anche i risultati: ad oggi il Consiglio ha gestito 29 rapporti di attacchi ai luoghi religiosi in Bosnia Erzegovina.

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