Professioni emergenti: Reporter di guerra

Gli occhi dei ragazzi del liceo riuniti in assemblea sono tutti per quell’omino buffo e carico di rughe. Ettore Mo sostiene di essersi salvato, in Afghanistan, grazie alla sua statura. Al Corriere della Sera, di cui è corrispondente dal ’79, dicono spesso: “Mandiamo lui in guerra, perché tanto i cecchini sparano ad altezza d’uomo”. La sua appartenenza al club del metro e sessanta (“scarsi”, precisa) non gli ha impedito di imporsi come uno degli inviati di guerra più stimati e rispettati degli ultimi vent’anni. I riconoscimenti non gli hanno fatto dimenticare il suo umile passato di cameriere e infermiere. La rivoluzione in Iran, il crollo dell’Urss, ma soprattutto l’Afghanistan, prima e dopo l’invasione sovietica ed americana, lo hanno visto in prima linea con il suo taccuino. “Abbiamo perso due colleghi in pochi mesi – spiega pacato agli studenti -. I rischi per i cronisti sono aumentati, non abbiamo alcuna garanzia e sappiamo che la disgrazia può sempre accadere. Ma l’inviato non sarà mai una specie di giornalista in via di estinzione: la testimonianza diretta è insostituibile”. Dalla platea una domanda: “Ma cosa vi spinge a rischiare la vita nei luoghi più pericolosi?”. La risposta: “Ognuno diventa inviato a modo suo, seguendo un percorso personale. Certo in comune c’è l’ambizione a seguire gli avvenimenti più estremi. E la guerra lo è. Lo diceva anche Hemingway: “Niente più della guerra mette in risalto le qualità dell’uomo”. Ed è quello l’uomo che vogliamo far conoscere. È ovvio che di fronte alle tragedie occorre cercare un certo distacco per scriverne, ma non è affatto facile: occorre conoscere, capire, selezionare”. “Ad esempio?”. “Sulle donne afgane si è fatto giornalismo-spettacolo: molte donne portano il burqa per tradizione, non per imposizione e per questo tante non l’hanno ancora tolto. Occorre tempo. Lo stesso intervento Usa in Afghanistan va analizzato da tanti versanti: l’interesse delle compagnie petrolifere americane non è da sottovalutare…”. Non poteva mancare un consiglio a chi gli chiede come intraprendere una professione come la sua: “Versatilità, spirito di adattamento, ma soprattutto occorre crearsi una solida base, prepararsi, studiare tanto”. Times: Arriva la svolta popolare Il Times, la testata più gloriosa dell’impero britannico, il quotidiano capace per tre secoli persino di far cadere i governi di Sua Maestà, volta pagina. A sancire il passaggio da giornale tradizionalmente di élite a quotidiano popolare è il cambio di direttore. Chi lascia, per contrasti con l’editore, è Peter Stothard, tipico gentiluomo britannico, molto tradizionalista, frequentatore di prestigiosi salotti e club, amante dei classici, che in 18 anni ha raddoppiato la tiratura (oggi 711 mila copie), grazie al potenziamento redazionale, ad un inserto di successo, ma sopratt utto ad un dimezzamento del prezzo. Gli succede Robert Thomson, dedito allo sport, amante della cultura di massa e dei film di cassetta, australiano come Rupert Murdoch, il suo editore, che considerava inizialmente il Times come il fiore all’occhiello della sua collezione nel campo della stampa inglese. Ma il Times non rende abbastanza, e la tiratura rimane di gran lunga inferiore alle altre testate della scuderia Murdoch (il Sun tira 3 milioni di copie al giorno ed il domenicale News of the World arriva a 4). Il nuovo direttore, dopo aver lavorato per Murdoch a Pechino e Tokyo, era sbarcato sì a New York, ma per il Financial Times, contribuendo ad espanderne la diffusione con la pubblicazione di articoli e supplementi meno colti e molto più popolari di quelli cui erano abituati i lettori della City. In libreria: Il linguaggio di Gesù Esce un libro su un aspetto dei Vangeli non analizzato di sovente: la comunicazione non verbale (Franco Boscione, I gesti di Gesù, Ancora, Milano, pp. 116, euro 9,50). In poche, dense pagine, l’Autore ripercorre i Vangeli alla ricerca del “metalinguaggio” di Gesù e del linguaggio che traspare dal suo corpo, “la parola non detta, che è iscritta nel corpo, che ne dice il significato ed il destino “, come scrive Carlo Maria Martini. Un libro per comunicatori. (m.z.)

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