Processo Ruby all’esame della Consulta

Attesa per la pronuncia che valuterà il conflitto di attribuzione sulla competenza del Parlamento o della Magistratura a giudicare Berlusconi. Quali possibilità si aprono
Corte costituzionale

Il talk-show del martedì (visto che ne abbiamo uno al giorno) si è svolto in gran parte sul ping-pong: «Voi della maggioranza avete votato in Parlamento che Ruby è la nipote di Mubarak»; «È falso, abbiamo votato per difendere una prerogativa del Parlamento e quindi per la democrazia!». Sarà possibile capire qual è il punto nodale della questione? Proviamoci.

 

La Camera dei deputati ha approvato la decisione aprire un “conflitto di attribuzione”, di ricorrere cioè alla Corte costituzionale perché stabilisca chi ha ragione tra la Magistratura (espressa dalla procura di Milano) e il Parlamento (specificamente la Camera dei deputati), riguardo alla competenza a giudicare il deputato e Presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, nel processo penale che lo vede coinvolto per concussione, oltre che per prostituzione minorile. La procura e il giudice per le indagini preliminari hanno dichiarato la competenza del tribunale ordinario comune; la Camera sostiene invece che la competenza sia del tribunale dei ministri, in quanto la concussione è evidentemente imputata al Presidente del consiglio dei ministri.

 

Qui è un primo punto da chiarire: come fa la magistratura milanese a sostenere che il processo non debba essere celebrato dal tribunale dei ministri? La procura (confermata finora dal giudice per le indagini preliminari; vedremo il tribunale) si è basata sulla – propria – valutazione del reato contestato, rispondendo alla questione se fosse o no “reato funzionale”, cioè commesso da Silvio Berlusconi nell’esercizio delle funzioni di capo del governo ovvero semplicemente abusando delle proprie prerogative di premier. Nel caso delle famose telefonate notturne alla questura di Milano per far affidare Ruby a Nicole Minnetti, secondo la procura Berlusconi non agiva “nell’esercizio delle sue funzioni”, al contrario utilizzava impropriamente lo status di Presidente del consiglio dei ministri.

 

Pertanto i pm non hanno trasmesso gli atti al tribunale dei ministri, come invece avrebbero avuto l’obbligo di fare in caso di reato commesso nell’esercizio di funzioni legate al ministero di governo. La Camera dei deputati contesta proprio questo mancato invio; a suo giudizio la procura avrebbe comunque dovuto inoltrare gli atti al tribunale dei ministri, che avrebbe così potuto valutare a sua volta la “ministerialità” del reato. E a causa di questo mancato invio la maggioranza della Camera ha ravvisato il fumus persecutionis e rigettato, nella seduta del 3 febbraio scorso, la richiesta di autorizzazione a perquisire i locali dell’arcinoto ragionier Spinelli, sui quali campeggia la targhetta “Segreteria dell’on. Berlusconi”.

 

Si capisce, mi pare, il ruolo di Ruby nella vicenda. Se fosse nipote di Mubarak, o almeno ritenuta tale da Berlusconi la sera della telefonata in questura, ecco che la ministerialità dei fatti da un lato sarebbe scontata; dall’altro ci sarebbero le premesse per evitare l’accusa stessa di concussione, in quanto il premier avrebbe agito «per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico», come prevede la legge sui reati commessi da membri del governo. E come l’onorevole Maurizio Paniz, relatore per la maggioranza, ha apertamente sostenuto in Aula.

 

Da qui, il braccio di ferro. La procura di Milano che tira dritto, poiché ritiene, di aver applicato esattamente le leggi; la Camera che rivendica il proprio ruolo, attraverso la chiamata in causa del tribunale dei ministri: infatti, una volta stabilita la competenza di questo tribunale, il processo deve essere autorizzato dal Parlamento. Ecco come da atti del tutto irrituali e inediti in verità, è scaturito il voto che ha portato a formalizzare il conflitto di attribuzione.

 

La parola alla Corte costituzionale, quindi. Essa darà una prima pronuncia e stabilirà se il conflitto sia “ammissibile” o “non ammissibile”. Solo a seguito di ammissibilità, deciderà su chi tra i due abbia agito correttamente (ma evidentemente anche l’eventuale decisione di inammissibilità avrebbe un significato non equivoco). E se alla fine dovesse aver ragione la Camera, il processo incardinato a Milano sarebbe nullo. Considerato il livello di deterioramento in cui versano i rapporti tra politica e magistratura, forse è un bene che della vicenda si occupi una voce “terza”. Perché è questa fiducia che bisogna avere nella Corte.

 

 

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