Portaerei Cavour ad Haiti

Convertire al servizio della pace gli strumenti pensati per la guerra.


Stamattina ho aperto il n. 4 della rivista Città  Nuova, appena consegnatami dal portalettere. L’articolo "Già attivo l’ospedale della Cavour", a firma di Giuseppe Garagnani, ha richiamato subito la mia attenzione.

 

Premesso che anch’io mi sono compiaciuto del fatto che la Cavour abbia ricevuto il proprio battesimo operativo in una missione di soccorso a popolazioni duramente colpite dal terremoto, avrei qualche riserva da fare circa le considerazioni espresse dall’articolista, laddove sembra lasciar intendere che le voci di dissenso di quanti avevano criticato la costruzione di questa unità  militare, fossero in errore («…fino a ieri molti si domandavano quando e come sarebbe stata impiegata una portaerei da trenta mila tonnellate… pochi forse avevano riflettuto sulla versatilità della Cavour…»).

 

C’è¨ poco da riflettere, infatti, a mio modesto avviso, sulla versatilità  di una portaerei che, in questo caso, si trasforma in nave ospedale. Ben più approfondite riflessioni, invece, meriterebbero i criteri che hanno spinto i vertici della Marina Militare a commissionare, con la Cavour, uno strumento di eccezionale potenza offensiva. Il giornalista dovrebbe sapere che la portaerei, per sua natura e configurazione, è un tipico mezzo da offesa, che si avvale, tra l’altro, di una componente aerea imbarcata che allinea i micidiali Harrier (traduzione = devastatore), cacciabombardieri da attacco al suolo.

 

Una «Marina militare vocata alla pace, quale quella italiana» (termini mutuati dalla rivista) ritengo debba faticare non poco per dare una giustificazione credibile alla sua scelta di dotarsi di una portaerei. Forse, sarebbe stato più opportuno optare su naviglio minore, di pattugliamento e ricerca e soccorso. Ma, si sa, a qualcuno piace a volte mostrare i muscoli e far vedere, nel panorama internazionale, che l’Italia si pone a livello di (media) potenza militare.

 

Se analizziamo l’aspetto economico, qualche dubbio dovrebbe assalire chi crede in uno Stato che dovrebbe essere sociale e solidale. La Cavour è costata una cifra da capogiro, che si avvicina al miliardo e mezzo di euro (tradotto nel vecchio conio, come direbbe Bonolis, fa una cifra in lire talmente impressionante che la omettiamo).

 

Se di tutto ciò ci dobbiamo compiacere, beh, io, come cristiano, affermo la netta contrarietà. E non si tratta di sterile pacifismo, ma della convinzione profonda che i valori che credo appartengano alla linea editoriale di Città  Nuova, non si identificano con l’utilizzo di una portaerei, oggi casualmente all’ancora nelle acque haitiane (casualità relativa se si va a scavare nei rapporti italo-brasiliani concernenti la possibile fornitura di armi), ma che domani potrà  essere impiegata in missioni di tutt’altro genere. 

 

In conclusione, vorrei invitare la rivista a rispettare, come sempre fa, le opinioni e gli atteggiamenti di tutti, ma, nel contempo, ad esporsi con maggiore coerenza su certi temi sociali, prendendo una posizione univoca ed inequivocabile, la più allineata allo spirito evangelico (beati i costruttori di pace).

Michele Concilio

 

Il senso dell’immagine pubblicata sulle nostre pagine della portaerei Cavour aveva l’intenzione di mostrare, come può esporre una foto, l’evidenza di una conversione al servizio della pace degli strumenti pensati per la guerra. Non siamo entrati nel dettaglio del paragone delle sale operatorie che si potevano costruire con i 1400 milioni di euro che è costata la portaerei. E ovviamente non possiamo condividere chi ha visto l’uso della Cavour come una promozione del made in Italy con ricadute nelle commesse industriali. Su questi temi abbiamo già parlato in via approfondita sulla rivista, tra l’altro, in materia del programma di acquisto dei caccia bombardieri Jsf35. Grazie comunque al lettore che ci ha permesso di chiarire la questione. 

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