Poeta ermetico e classico

Il recente Selected Poems di Giuseppe Ungaretti, pubblicato in edizione bilingue da FSG (New York) a cura di Andrew Frisardi e da lui tradotto con grande sensibilità e fedeltà, non è un libro da passare sotto silenzio poiché offre la rara opportunità di identificarsi nel percorso di una delle voci poetiche più originali e nitide del Novecento. Il giudizio positivo di Carlo Maria Ossola, uno dei massimi esperti di Ungaretti, conferma il valore editoriale di questa raccolta che ha l’ulteriore pregio di aver stampato note autobiografiche del poeta, preziose per aggirarsi nella sua biblioteca reale e ideale. Quanto alla originalità, qui si manifesta, come sempre nel percorso iniziale dei migliori, attraverso i loro punti di riferimento. L’influenza più importante che indirizza Ungaretti adolescente verso la poesia viene da Leopardi: “Il poeta del dolore, dell’infelicità, della morte? “Nessuno come lui ci ha dato una immagine luminosa e dolce del paesaggio, dell’amore, della giovinezza” (Pontiggia, Prima persona). Nato in Alessandria d’Egitto nel 1888, Ungaretti completa i suoi studi a Parigi alla Sorbona. Nel 1912 conosce colui che darà l’impronta maggiore al suo stile: Guillaume Apollinaire. La lettura del Mercure de France è fondamentale per la sua evoluzione in quanto gli rivela la musicalità e l’enigmatica qualità del linguaggio di Mallarmé, il fondatore del Simbolismo. La sua vitalità prorompente e la simpatia irresistibile ne fanno il centro della comunità artistica di Parigi. Le sue prime poesie, pubblicate sulla rivista d’avanguardia Lacerba nel 1915, su insistenza di Soffici, Palazzeschi e Papini, sono frammenti scritti in un linguaggio essenziale, privo di ogni tradizionale ornamento, in cui la parola è carica del suo potere originario. Della famosa gemma: “M’illumino/ d’immenso” si può dire quello che di un sorriso diceva Laurence Sterne; che “esso aggiunge un filo alla tela brevissima della nostra vita”. “Tra un fiore colto e l’altro donato/l’inesprimibile nulla”: cosi Ungaretti arriva a dominare il proprio linguaggio, a rinnovarlo, a dare al vocabolo un valore enorme. Con l’umiltà del genio, dichiara in un’intervista, “la parola non riuscirà mai a svelare il segreto che è in noi, lo avvicina, ma la parola è impotente. Se uno ha 1a libertà di esprimersi ha tutto il resto”. La natura, il paesaggio, l’ambiente, le circostanze si rivelano fonte inesauribile della sua poetica in un percorso che porta all’Ungaretti più grande: all’Ungaretti del Porto sepolto e dell’Allegria: “E subito riprende / il viaggio / come / dopo il naufragio / un superstite lupo di mare”. C’è nel credente Ungaretti un sentimento profondo di religiosità, sia nel distacco dalle cose del mondo, sia nella piena corresponsabilità con il mondo. Unga, come viene chiamato dagli amici francesi, è sempre stato un appassionato viaggiatore che, anche in età avanzata, volerà da un punto all’altro dell’oceano a riscuotere i riconoscimenti che ogni paese vorrà tributargli. Rimane fino ai primi anni Sessanta il più leggendario e amato professore all’Università di Roma. Andrew Frisardi, guida preziosa e sapiente alla comprensione della poesia ermetica, in particolare di Giuseppe Ungaretti, ha il merito di suscitare ammirazione e amore nei lettori di lingua inglese di nuova generazione, ma non solo, per un poeta ancor più vicino ai nostri tempi inquieti dei grandi del passato. Eppure la sua Canzone: “Nulla è muto più della strana strada/Dove foglia non nasce o cade o sverna,/Dove nessuna cosa pena o aggrada,/Dove la veglia mai, mai il sonno alterna”, sembra racchiudere in sé il segreto della sublime musicalità di Dante.

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