Piero il misterioso

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Se c’è qualcosa di Piero della Francesca che continua ad affascinare è lo sguardo sereno sul mistero. Davanti ad esso non si sgomenta né lo rinnega. Semplicemente, sa che esiste. Lo indaga, cosciente che non potrà mai penetrarlo del tutto. Lo ama. Cosa nasconde la donna giovane dallo sguardo abbassato, la Madonna di Senigallia, una delle sue ultime tavole, col bambino muscoloso in braccio e due angeli- ragazzi ai lati? Dietro, filtra dai vetri la luce meridiana. Col suo palpitare sul grigio crea un pulviscolo dorato che ravviva i colori puri, le fisionomie degli angeli che ci guardano diritti, il bambino benedicente con la rosa in mano. Piero medita con amore sulla luce, sa che essa crea la vita, dà anima alle fisionomie, fa esistere le cose. La suggestione dell’arte fiamminga, così meticolosa nell’indagine, che egli ha conosciuto durante i suoi viaggi alle corti di Ferrara e di Urbino, viene sublimata da un sentimento solenne eppur tenero: queste figure immobili restano fissate in un tempo eterno, in un mistero che è però dolce, amico. Piero guarda diritto davanti a sé e così vuole che noi lo guardiamo. Nel Sogno di Costantino affrescato con le altre storie della Legenda della vera Croce ad Arezzo egli ci presenta uno dei primi notturni autentici – forse il primo – della pittura europea, da cui tutti, Raffaello Caravaggio Rembrandt, impareranno. Piero osserva l’alba che sorge e indora la tenda gialla e rosa dell’imperatore, mentre lontano, tra il cielo ancora stellato e tenero, sfumano oscure le altre tende. Dorme l’imperatore, mentre i due soldati, investiti dallo scorcio dell’angelo luminoso, riverberano sulla corazza brillii fulgenti. Il servo appoggiato al letto dell’imperatore invece osserva con l’occhio aperto, ci guarda. È Piero che vede il mistero che si sta svolgendo nella trama di una Storia reale e trascendente insieme: egli la blocca nell’attimo in cui possiamo percepirla, ne presenta il senso profondo. Di qui l’immobilità silenziosa delle scene, anche le più cruente, come le battaglie affrescate nella chiesa francescana di Arezzo. Si scontrano cavalli e cavalieri – memori di Paolo Uccello -, sfilano ritratti di guerrieri dallo sguardo fuori del tempo, il cielo trasparente copre con il suo azzurro la morte, il sangue. Nessun grido. Anzi, nella Vittoria di Costantino il Tevere è un fiume limpido che rispecchia case ed alberi. La natura scorre serena in mezzo ai furori degli uomini. La storia, per Piero, accompagna con un pensiero superiore le battaglie, le glorie, i miracoli della vicenda umana che egli indaga con squisito amore – dai cavalli torniti, alle armature brillanti, dalle dame acconciate all’ultima moda, alle vedute di Arezzo o della natia Sansepolcro -. In fondo, c’è qualcosa di misterioso che guida gli eventi o, se si vuole, gli sta sotto, ed egli lo sa. Lo vuol conoscere. Cosa passa tra Sigismondo Malatesta, dal duro profilo, e il santo protettore affrescato nel Tempio Malatestiano di Rimini? C’è orgoglio nel crudele signore, distacco nel santo. Un colloquio muto che Piero blocca per sempre: potenza terrena e potenza ultraterrena che si guardano, l’uomo del rinascimento e qualcuno di più grande, ma con cui egli si sente alla pari. Così appaiono i due duchi d’Urbino, Federico da Montefeltro e Battista Sforza, ritagliati dalla linea sicura sullo sfondo di una natura persa nell’o- rizzonte. Loro, i duchi, celano ogni palpito umano per diventare icone che sfidano la storia stessa. Piero ne indaga realisticamente i volti, minuzioso e sottile come un fiammingo, ma non per un virtuosismo realistico, bensì per chiudere nell’impenetrabilità il lato umano del potere. Il pittore lo conosce bene, nei suoi rapidi spostamenti tra Ferrara, Bologna Firenze, Urbino e Roma, chiamato da signori e pontefici. Ha potuto indagare non solo il mistero che è nella storia, ma quello che si nasconde dentro agli uomini. Ed ha usato come strumento, la luce. Nella Madonna del parto a Monterchi, la donna incinta che si tocca pudicamente il ventre avvolto nella veste azzurra è una ragazza dai lineamenti purissimi, lo sguardo – com’è delle donne di Piero – raccolto, a meditare. Non parla questa creatura, come non parla il Cristo Risorto di Sansepolcro, dai grandi occhi stupiti di fronte alla nuova primavera del mondo. È la luce a parlare. Sempre limpida, trasparente: sulle carni, modellate con delicatezza, sui tessuti, carichi di colore puro, sulla natura. La luce brilla nell’aria quasi in maniera esultante, come se Piero vedesse ciò che narra da un’ottica distaccata che rende il passato e il futuro entro un eterno presente: sia che racconti miracoli o eventi, sia che indaghi l’interno di una casa, in una An- nunciazione sotto una loggia o in una Madonna col bambino al chiuso. Questo amore per la luce è in effetti fascino per il mistero che è bello osservare, studiare. Anche se rimane impenetrabile – e forse l’impassibilità delle sue figure ha proprio questo significato recondito -, è da far proprio con sguardo sereno. Sino alla fine. Pur nel buio della cecità fisica, com’è accaduto gli ultimi anni a Piero. Ma ormai la sua meditazione si era conclusa. Quando muore, il 12 ottobre 1492 – giorno della scoperta dell’America – altri pittori, come Giambellino, Perugino, Raffaello -, ne avevano assorbito lo slancio. L’Italia artistica intera ne aveva appreso la lezione. Eppure, ci sono voluti i secoli per sentire Piero e il suo mistero non più irraggiungibili, ma amici. Mario Dal Bello Piero della Francesca e le corti italiane. Arezzo. Museo Statale d’Arte moderna e contemporanea, fino al 22/7 (catalogo Skira). Un film su Piero del Borgo diretto da Marco Colli, soggiorni a Sansepolcro e Monterchi – le terre di Piero – un convegno scientifico dal 22 al 27/8 ad Arezzo sull’attività matematica del pittore, contornano una mostra di circa 100 opere di artisti del Quattrocento (Domenico Veneziano, Giambellino, fra’ Carnevale, van der Weyden, Perugino, Melozzo, Berruguete ecc,) e alcune del maestro, tra cui una Madonna col bambino recentemente ritrovata.

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