Pfas, bloccata la ripulitura del sangue

Dopo l’intervento del ministero della Salute e dei Nas, è stata fermata la procedura di “ripulitura” del sangue dagli inquinanti sul centinaio di volontari che vi si erano sottoposti. Mentre la popolazione, che si ritrova con informazioni contraddittorie sull’efficacia e sicurezza della procedura e senza cure alternative a disposizione, lamenta la scarsa fiducia nelle istituzioni

Non accenna a placarsi il clamore sulla vicenda Pfas in Veneto. Gli ultimi, preoccupanti sviluppi si sono avuti a partire dal 15 dicembre, quando – proprio nel giorno in cui il direttore generale della sanità, Domenico Mantoan, presentava in conferenza stampa i primi risultati della procedura di plasmaferesi applicata ad un centinaio di volontari per “ripulire” il sangue dagli alti livelli di Pfas – i Nas, su ordine del ministero della Sanità, hanno sequestrato le carte relative a questa pratica. La motivazione starebbe in quanto comunicato dall’Istituto superiore di Sanità, secondo cui «La plasmaferesi terapeutica è uno strumento non selettivo di rimozione dal plasma di diverse sostanze. Recenti linee guida sull’impiego […] non includono specificamente la rimozione dei suddetti contaminanti, o simili, tra le indicazioni basate su consolidate evidenze scientifiche. Inoltre la linea guida attribuisce un livello debole di raccomandazione all’impiego della plasmaferesi terapeutica […] per la rimozione delle sostanze tossiche dal plasma. L’uso della tecnica che, si ricorda, è invasiva è quindi da considerarsi sperimentale e al momento non è supportata da adeguate evidenze scientifiche». Sia il ministero che alcuni consiglieri regionali di opposizione, inoltre, avevano rilevato già in precedenza come ci fossero state delle mancanze nelle procedure di comunicazione autorizzazione della procedura, sia nei confronti del Ministero e dell’Iss che della commissione consiliare preposta.

Il fatto ha suscitato vivaci reazioni. Il governatore Luca Zaia ha subito affermato che «trattandosi di pratica internazionale, della quale era stata informata e che è stata finanziata dal Ministero con due milioni di euro, se il ministro la ritiene pericolosa deve dirlo a tutti i donatori di plasma, non solo al Veneto. Credo che il Nas abbia di meglio da fare che impiegare uomini per venire a prendere delle delibere che si potevano scaricare da Internet o, meglio ancora, che potevano ottenere con una telefonata. Gliele avremmo mandate noi». Ha altresì reso nota ai media e all’opinione pubblica la documentazione che dimostrerebbe come tutte le comunicazioni siano avvenute correttamente e quindi il Ministero fosse a conoscenza dell’avvio della campagna di plasmaferesi. Non ha poi mancato di notare, facendo riferimento anche alla vicenda dei vaccini, che «il Governo quando legge Veneto pianta un coltello»: sottintendendo che si tratterebbe quindi di uno scontro in buona parte politico.

E sono proprio i dubbi quelli che attanagliano la popolazione: che non solo si trova a non sapere chi abbia davvero ragione tra i due contendenti in quanto ad efficacia e sicurezza della procedura, ma si trova anche con la plasmaferesi bloccata – in attesa appunto che la diatriba si risolva –, e senza alcuna cura alternativa a disposizione. Ancora una volta sono state le “Mamme no Pfas” a dare voce ad un intero territorio, dove vivono circa 350 mila persone: Michela Piccoli, la loro portavoce, ha puntato il dito contro la scarsa fiducia nelle istituzioni, che giocherebbero con il fuoco sulla pelle delle persone. Il ministero, da un lato, avrebbe infatti sbagliato a non intervenire da subito se davvero riteneva che la plasmaferesi non fosse sicura; e la regione avrebbe agito precipitosamente, senza fare una sperimentazione che consentisse, qualora avesse avuto buon esito, di non trovarsi bloccati senza soluzioni alternative.

Secondo i dati presentati da Mantoan, la plasmaferesi avrebbe avuto buon esito: la discesa di inquinanti nel sangue nei soggetti trattati sarebbe stata del 35 per cento, e addirittura del 68 per cento con lo scambio plasmatico. Anche il professor Santo Davide Ferrara, ex presidente della Scuola di Medicina di Padova e presidente dell’International Academy of Legal Medicine, in un’intervista al Mattino di Padova si è espresso in favore della plasmaferesi: «Quando manca l’evidenza scientifica di efficacia di trattamento, ma sussiste l’assenza di effetti collaterali, a fronte di una mancanza di altri mezzi terapeutici, è corretto espletare la terapia perché non esistono altri mezzi per abbassare elevati livelli di Pfas nel sangue. Visto che la plasmaferesi non produce effetti collaterali, è stato corretto farla. I pazienti sono stati correttamente informati e si sono espressi in maniera volontaria attraverso un consenso, quindi la modalità di approccio è ineccepibile sia sotto il profilo culturale-scientifico, sia sotto il profilo del rapporto medico-paziente».

Diversa la posizione del Centro Nazionale Sangue, Società Italiana di Medicina Trasfusionale, e Comitato Interassociativo del Volontariato Italiano del Sangue: in una nota congiunta spiegano infatti come plasmaferesi terapeutica e donazione di plasma siano procedure diverse, e come non esistano al momento «solide evidenze scientifiche a supporto della modalità scelta dai sanitari veneti». Nella nota si spiega inoltre come la procedura non sia esente da effetti collaterali, dato che il volume di plasma coinvolto nella procedura è 4-5 volte più alto di quello coinvolto in una donazione di plasma: le due procedure non sarebbero quindi paragonabili.

Intanto la popolazione, soprattutto coloro che avrebbero ricevuto beneficio da questa pratica, attende che il nodo si sciolga, senza che burocrazia e politica frenino il percorso verso la chiarezza.

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