Perdere la testa

Perdere la testa, perché di fronte all’altro, che ti assorbe e che cerchi di restituire con una immagine dell’attimo presente, si dimentica tutto del mondo: basta un incontro. È lo stesso autore che si presenta così introducendo la mostra Perdre la tête. Si esce col sorriso sulle labbra, dall’incontro con François-Marie Banier negli ampi spazi dell’Accademia di Francia di Villa Medici a Roma. Ci scopriamo arricchiti, fatti capaci di osservare in modo diverso la realtà, e non riusciamo a fare a meno di guardare la gente che ci sfiora per la strada con gli occhi attenti e incuriositi, come di potenziali fotografi, quasi che nessuno ci fosse più estraneo. Nel privilegiare persone anonime, incontrate e catturate dal suo obiettivo vagabondo per i boulevard e le vie di Parigi, Banier sembra rapito dalla vita che pulsa dentro ogni singola creatura, come a volerne carpire, attraverso uno sguardo, un ghigno, una smorfia, un sorriso, un gesto, la storia e la verità che nasconde. Fotografo ogni giorno. Vago per Parigi, o altrove, senza una precisa intenzione. Il mondo moderno è implacabile come il tempo. È fatto di talmente tante forze ed elementi che è impossibile fotografarlo, se non a segmenti, frammenti; a volte invece una foto puo’ dire tutto. Il fotografo francese (che è anche romanziere e drammaturgo) preferisce atteggiamenti e volti di un’umanità dall’esistenza difficile. Soprattutto clochard, vecchi, emarginati, alla cui presenza si accosta con rispetto, conferendo dignità. La bellezza è l’altro – afferma -. L’altro a tutto tondo, epurato da qualsiasi cliché, da ogni pregiudizio, spesso intrappolato tra le grinfie d’una società che lo comprime e che non riesce a capire. Si rimane contagiati dal suo sguardo leggero e ironico, dal suo approccio vitale. Io non fotografo: prendo. Prendo tutto ciò che c’è da prendere – afferma Banier -. L’omino, la signora, il cane, il bambino, anche le betoniere. Mi attira il racconto che indovino dietro ogni essere, quella complessità inestricabile dalla quale debbono uscire per esistere. Mi attira il particolare che porta in sé l’universale. Il sentimento universale del dolore, della seduzione, della degradazione, della difficoltà dell’esistere, della morte che consuma, dei marameo. Ognuno, bauna celebre foto di Samuel Beckett mentre passeggia sulla spiaggia di Tangeri; Silvana Mangano avvolta in un velo bianco; Marcello Mastroianni sorpreso in una danza frenetica; Ray Charles mentre suona il pianoforte e una ragazzina dietro che lo guarda stupita. E poi, Johnny Deep, Balthus, Claude Lévi-Strauss, Jaqueli-ne Picasso, il principe Carlo, Alex Kats, Louise Bourgeois, e molti altri.

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