Pennellate di tutti i colori

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Attraversare le strade ed i quartieri delle nostre città per conoscere le diverse comunità etniche che vi abitano. Fare il primo passo verso chi, proveniente da altri paesi e culture, vive accanto a noi. Puntare a realizzare insieme una vera esperienza di fraternità. Questa la più recente azione dei Ragazzi per l’unità che, con il loro programma ColoriAMO le città, stanno svolgendo le più diverse attività per riportare l’amore tra le persone delle loro città. Un’azione che hanno iniziato proprio da Roma. Trovandosi lì infatti per i loro congressi, i ragazzi e le ragazze dei Focolari, hanno pensato di partire proprio dalla città eterna per conoscere da vicino persone e comunità di altre culture e religioni. In più di mille, provenienti da vari paesi d’Europa, in due giornate hanno incontrato quindici diverse comunità della capitale. Centrali sono state la ricchezza delle diverse culture e la varietà delle forme di accoglienza, ma anche la sfida del dialogo e del rispetto che nascono dalla reciproca conoscenza. Agli occhi dei ragazzi è emersa una Roma multietnica spesso sconosciuta che ha offerto gioie e dolori da conoscere e condividere. Il pomeriggio è stato però per loro solo il primo passo: ai ragazzi adesso fare lo stesso nelle rispettive città dei diversi popoli. Domande e ancora domande Esigenze di integrazione e difficoltà nell’attuarle sono problemi che ci riguardano ed interrogano quotidianamente. Lo sanno bene anche questi ragazzi. Per questo, prima delle giornate romane, loro stessi hanno definito molto utile il confronto con alcuni esperti. Domande a tutto campo sulla vita e l’organizzazione delle città, sulle sfide del dialogo, sul problema del terrorismo, sulle questioni più scottanti dell’immigrazione e della convivenza tra popoli diversi. Come si fa a trovarsi uno davanti all’altro in un atteggiamento di apertura?, chiedono alla sociologa brasiliana Vera Araújo che indica la soluzione nel dialogo. Esso – spiega – è la capacità che abbiamo e che dobbiamo mettere in pratica di metterci davanti all’altro in un atteggiamento di apertura. Questo vuol dire ascoltare, imparare ad ascoltare. Il dialogo mette in luce come la diversità possa diventare ricchezza per passare dalla multiculturalità alla interculturalità, dove vedremo culture, religioni ed etnie che si incontrano. E poi si parla di frontiere che si aprono, di globalizzazione che può fare della terra la casa di tutti e dare a ciascuno come patria il mondo. A proposito dell’atteggiamento da avere nei confronti di chi arriva da un altro paese la Araújo conclude: Pensate a come vorreste essere trattati voi se andaste in un’altra nazione, in un’altra città. In giro per il mondo Nelle giornate a Roma i ragazzi prendono metro, treni, autobus, si dividono in piccoli gruppi con rappresentanti di più paesi e, tuffandosi per le strade della città, si dirigono verso le diverse destinazioni. Prima di entrare nei vari luoghi si ricordano l’uno con l’altro il motto della giornata: vivere, prima di tutto tra loro e poi con quanti incontreranno, quell’amore reciproco del quale parla il Vangelo. Un gruppo raggiunge il cuore del centro storico, il quartiere di Trastevere, nella chiesa della Madonna della Luce che, da alcuni anni, è punto di incontro per molti migranti del Centro e Nord America. In questa chiesa, resa festosa dai molti striscioni appesi alle pareti, i ragazzi sono accolti da padre Oscar Lopez, scalabriniano di origine messicana, responsabile della comunità. La sua gioia rende tutto caloroso, come un incontro in famiglia. Presenta la comunità, il progetto di essere luogo di accoglienza e, dopo una panoramica sulle difficoltà, le gioie e le speranze dei migranti lascia a loro stessi la parola. Famiglie e ragazzi presenti portano una pennellata dei diversi paesi. Quello di oggi è stato un pomeriggio bellissimo – commenta Julien della Spagna – Ero partita pensando che avremmo trovato persone tristi, invece abbiamo trovato persone felici, che ci hanno accolti, ci hanno fatto cantare, giocare. Mi è sembrato, quando ci salutavano, che anche loro fossero felici. Credo che questo sia stato il frutto di Gesù, che penso fosse davvero fra noi. Musiche e ritmi brasiliani hanno caratterizzato la visita dei ragazzi alla sede romana di Cançao Nova, un’emittente brasiliana cattolica con sede a San Paolo. Ad accoglierli i giovani che vi lavorano. Parlando di computer e satelliti è scattato subito un rapporto immediato di amicizia che ha portato a condividere i motivi profondi della loro attività. I ragazzi hanno così conosciuto lo stile di vita che anima questi professionisti e li porta a diffondere il Vangelo nel mondo tramite i media. Il responsabile, Sergio Coutinho, accompagnandoli al pullman, li ha salutati con queste parole: Ci avete dato gioia, perché abbiamo molti rapporti qui a Roma, ma sempre per lavoro. Voi siete i primi che sono venuti a conoscere la nostra vita, il nostro carisma, che per noi è la perla preziosa. Culture a confronto invece nei momenti di condivisione vissuti con la comunità dello Sri Lanka come con quella degli etiopi ed eritrei della capitale. Una festa di famiglia i ragazzi hanno definito l’incontro con la comunità polacca, un’immersione nei colori dell’oriente quella con la comunità indiana. Un tocco asiatico anche nella basilica di Santa Prudenziana, punto di incontro delle persone provenienti dalla Filippine. Ad accogliere i ragazzi una trentina di filippini insieme a padre Albert Guevara, cappellano della comunità, che ha raccontato la sua missione tra gli immigrati della capitale. Insieme si è giocato e cantato, tra ritmi italiani e sonorità della lingua tagalog. Un pomeriggio che è stato anche una sfida nell’armonizzare la vivacità dei ragazzi italiani e la riservatezza del popolo filippino. Alla fine il desiderio di scambiarsi gli indirizzi sembrava segno di un’amicizia nata anche al di là delle parole. Zoom puntato sulla condizione degli albanesi in Italia e sulla loro vita nel nostro paese nell’incontro in San Giovanni della Malva in Trastevere. Un dialogo profondo che ha portato, italiani ed albanesi, a condividere i stili di vita ed a parlare con schiettezza di emarginazione, solitudine, dolore e di come superarli. Alcune esperienze positive di integrazione, grazie al sostegno di intere comunità, hanno fatto dire a tanti che quel pomeriggio aveva riacceso una luce di speranza. E Trastevere ha fatto anche da sfondo all’incontro dei ragazzi per scoprire la storia e le molte attività della Comunità di Sant’Egidio. Un gruppo di Francia, Italia e Svizzera è andato nel Centro di Accoglienza Pedro Arrupe per richiedenti asilo e rifugiati. Qui non ci sono crocefissi di legno, ma viventi – ha detto uno dei responsabili accogliendoli -. Ciò che noi facciamo non è un atto di amore, ma di giustizia. Poi ha raccontato le storie di alcuni nelle quali i colori del dolore dominavano, spesso a tinte forti. Ha spiegato che non aveva detto dell’arrivo dei ragazzi, voleva fare una sorpresa. Così con alcuni canti hanno attirato l’attenzione. Piano piano sono arrivati adulti e bambini. È iniziato un pomeriggio di scenette, canti, giochi. Quando hanno distribuito alcuni giocattoli, i piccoli hanno raccolto e donato ai ragazzi dei sassolini. Il loro modo per dire grazie. La mia casa è la tua casa In molte comunità l’incontro con i ragazzi è stato occasione per condividere la celebrazione della messa nelle diverse lingue, come nella Comunità Acse, l’Associazione comboniana servizio emigranti e profughi. Le porte saranno sempre aperte ad ogni vostro ritorno nella nostra comunità , ha detto alla fine il responsabile, padre John Bosco. Ma qui la messa è una festa!. A parlare sono Michel e Jeroen dell’Olanda che sono rimasti molto colpiti dalla celebrazione che hanno condiviso con la co- munità del Ghana a Roma. È più spontanea che da noi con musiche, canti e tante danze. Tra i ricordi che riporteranno in Olanda anche la merenda che è seguita alla funzione in un clima di festa che continuava, anche fuori delle mura della chiesa, in una condivisione di quello che si è e che si ha. Festa anche nell’incontro con la comunità nigeriana cattolica. Prima hanno cantato gli italiani, poi lo spazio è andato ad una rappresentazione teatrale nigeriana sull’importanza dell’amore in famiglia che attira tutti gli altri beni. Alla fine una gioia visibile nei volti intonando una canzone il cui ritornello diceva: La mia casa è la tua casa. La ricca cornice dell’abbazia delle Tre Fontane ha fatto invece da sfondo per l’incontro con la comunità rumeno-ortodossa. Ad accogliere il gruppo di ragazzi l’archimandrita Iuvenalie Ionasco. I ragazzi erano presenti, insieme alla comunità, alla recita dei vespri seguita da uno scambio di esperienze e da una merenda. Nonostante la lunga preghiera di un’ora e mezza in rumeno – scrive Letizia di Bologna – non avevo mai sperimentato nulla di simile: ho sentito che eravamo fratelli e sorelle. Conoscersi Vari anche gli incontri con comunità di diverse religioni. Con quella musulmana il pomeriggio è stato caratterizzato da un lungo dialogo con scambi di esperienze sui temi più diversi. Abbiamo potuto fare le domande più varie – dicono i ragazzi di Napoli – Le risposte ci hanno fatto fare un esame di coscienza su come vediamo il diverso da noi. Un incontro vivo – aggiunge Michele di Bologna -. Ho capito che molti pregiudizi derivano dalla non conoscenza . Intenso anche l’incontro con rappresentanti della comunità ebraica e la visita al Museo d’arte ebraica della capitale. Una vera sorpresa invece l’arrivo al tempio sikh, quando, per rispetto del luogo sacro, è stato chiesto ai ragazzi di togliere scarpe e calzini. Entrati incuriositi e pronti a non capire nulla, hanno invece visto venire loro incontro un responsabile della comunità che parlava molto bene l’italiano. Spiegando il loro rito ed i suoi significati, ha risposto a tante domande che spaziavano dalla religione allo stile di vita. Tanti i valori in comune. Una cultura apparentemente così diversa – dicono i ragazzi dei Castelli Romani – che è riuscita a sorprenderci per come in realtà abbia molti elementi comuni con la nostra. Il pranzo con tutta la comunità è stato occasione per continuare il dialogo tra piatti e sapori molto diversi da quelli italiani. Ci ha colpito – commentano i ragazzi di Cuneo – come ogni domenica, ritrovandosi al tempio, mettano in comune tempo e abilità: dai canti fatti insieme al pranzo che, con le offerte raccolte, preparano per chiunque voglia partecipare. E non finisce qui Sulla strada del ritorno, nei piccoli gruppi, si intrecciano ricordi ed impressioni. Un ragazzo commenta: Tornando a casa vedrò con occhi diversi tutti quei miei compagni provenienti da paesi diversi. Tommaso di Milano, dopo l’incontro con la comunità rumena, osserva: Che effetto non capire nulla! Sembrava di essere in Romania, eravamo noi i veri stranieri. Ed è stata questa l’esperienza più bella: ora capisco cosa provano loro quando arrivano in Italia. Tante le domande: Nella mia classe – riflette Paola di Trento – diversi compagni sono razzisti, alcuni sostengono la pena di morte. Io non la penso così, ma… Oggi per me è stato bello, perché ho fatto l’esperienza che davvero siamo tutti fratelli.

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