Pedofilia e pastorale

Lo scandalo dei preti pedofili e la bufera mediatica che si è abbattuta sulla Chiesa porteranno probabilmente anche delle conseguenze sulla partecipazione dei fedeli ai sacramenti. Molti sacerdoti stessi sono indignati per ciò che è successo e ne vedono i risultati sulla prudenza con cui, per esempio, i genitori, decidono ormai di mandare i propri figli minori ai campi scuola, alle gite fuori porta, al catechismo. Nonostante ciò, don Emilio Rocchi, parroco di San Domenico a Fermo e Segretario della Commissione presbiterale italiana, da noi intervistato, mostra, comunque, ottimismo e speranza.
Una solenne processione

L’attacco contro la Chiesa a causa della pedofilia comporterà un aumento della mancanza di fiducia verso i sacerdoti?

«Questo è solo l’“attacco” più recente – non sarà certo l’ultimo – ed ha già delle conseguenze. Non tutte preventivabili, a mio avviso. Ci sono infatti delle variabili al momento non facilmente quantificabili o ponderabili. Personalmente credo che molto dipende dal tipo di rapporto che la gente ha con i preti e che i preti hanno con la gente; e la situazione è molto diversificata. Troviamo infatti dei contesti in cui la dimensione relazionale è molto curata e ritenuta positiva, e qui le conseguenze dovrebbero essere minori; ma lì dove i rapporti sono già ora quasi assenti, c’è il rischio che diventino quasi impossibili. Vorrei però aggiungere che questo argomento pone anche un’altra questione, a mio avviso più delicata: com’è il rapporto tra i preti in un presbiterio diocesano? Ritengo che questo “attacco” potrebbe far compattare i preti e contribuire a far riscoprire alcuni tra i punti di forza del Concilio Vaticano II: la fraternità sacerdotale e il rapporto tra vescovo e preti».

 

Diminuiranno le presenze alla formazione catechistica da parte dei ragazzi?

«Non sono in grado di dirlo, ma di certo si deve tener conto di ciò che questa “invasione mediatica” ha suscitato e creato nelle famiglie, nelle case e negli ambienti di vita. Ciò che la situazione chiede è l’urgenza di tornare a presentare e vivere le virtù cardinali che, in non pochi casi, si sono trascurate nella formazione vocazionale – non solo presbiterale – ritenendole retaggio del passato e, quindi, da non riproporre. Si tratta invece di riscoprire la sapienza che ci viene dall’educarsi e dall’essere educati alla prudenza, giustizia, fortezza e temperanza».

 

Che ricaduta può esserci nella vita di un cristiano da questa immagine così negativa della Chiesa e dello scandalo della pedofilia, da alcuni paragonato allo scandalo delle indulgenze?

«Sono convinto che su quanto sta accadendo sia necessario vivere dei momenti di “discernimento comunitario” dove saper interpretare quanto sta accedendo e quanto viene “gridato sui tetti” messo a confronto, in modo che si faccia tesoro di questi fatti tremendi perché nelle comunità cristiane si faccia più attenzione a dare spazio a quel vivere l’essere “un cuor solo e un’anima sola” che rendeva esemplare (oggi come ieri) la comunità di Gerusalemme. Si tratta di riscoprire che siamo un popolo sacerdotale in cui tutti – nessun escluso – siamo chiamati a vivere, annunciare e celebrare Gesù morto e risorto “per noi e per la nostra salvezza”, come si afferma nel simbolo niceno-costantinopolitano».

 

Come vive un sacerdote il disagio di questo scandalo?

«Rinnovando quella scelta di Dio che fonda il sacerdozio battesimale e rafforzando i vincoli non solo sacramentali con gli altri preti. Facendo sì che si sia più attenti, a noi stessi e ai nostri fratelli, in modo tale che come singoli, ma anche come presbiterio, possiamo testimoniare quella misericordia di Dio che la Risurrezione di Cristo ha sancito “una volta per sempre”».

 

Quali i motivi di questo attacco mediatico contro il Papa?

«Chi odia la Chiesa fa il suo “mestiere”, a noi sta;  – sulla scia di Gesù, dei martiri e dei santi – mostrare che “tutto concorre al bene per chi ama Dio” .  Credo che abbiamo una opportunità preziosa per purificare la memoria e per contribuire a quel “colpo d’ala” che il popolo e la nostra gente attende da noi e per cui “fa tifo”. Forse potremmo così sperimentare ancora una volta che “il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi”»

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