Parole come gocce, come uragani

Non si può scrivere di Oriana, meditando le parole. Si può scrivere solo di getto, dove porta l’istinto. Chi fa questo mestiere, quello di scrivere, comprende (o dovrebbe comprendere) quello che diceva Simone Weil: scrivere è un martirio. Perché ti squarta, ti obbliga a cercare nelle tue viscere, nelle profondità dell’anima quello che sei. Quello che tremendamente, solamente, sei: al di là delle ideologie, al di là di quello che vorresti far credere al pubblico. Ma anche ti lancia in alto, scrivere, senza pietà, come una palla da baseball colpita da una mazza… per afferrare qualcosa della verità eterna. Questa è la posta in ballo, per chi scrive. Oriana Fallaci è stata una grande giornalista, una alla quale – come ben dice Gramellini – pochi hanno perdonato di saper scrivere meglio di loro. La prima volta che sedetti alla macchina da scrivere, mi innamorai delle parole che emergevano come gocce, una alla volta, e rimanevano sul foglio. Ogni goccia diventava qualcosa che se detta sarebbe scivolata via, ma sulle pagine quelle parole diventavano tangibili. Così ella stessa racconta l’inizio della sua vocazione. Le sue parole non sono state sempre gocce, a volte erano più simili ad uragani. Non amava l’ipocrisia, che a volte si cela dietro una certa prudenza, una certa saggezza: lei era irruente, a volte sfrontatamente scostante, esagerata. Mai politicamente corretta. Ovviamente, non perfetta, tutt’altro. Ma la sua voce s’udiva sempre, chiara: la potevi amare od odiare: non potevi certo dire che non la capivi… che c’erano fraintesi. Il suo talento, unito al caratteraccio toscano, ha fatto sì che si sono sprecati gli accostamenti a Montanelli. Chissà! Certo è che tutte e due, Indro e Oriana, hanno avuto un pregio: quello di mantenere accesa l’unica fiaccola che rende interessante la vita: la passione. E tutti e due ci hanno fatto provare un gran vuoto quando ci hanno lasciati; facendoci comprendere che il giornalismo oggi è fatto per lo più, non da penne, ma da pennini intinti in inchiostro simpatico. Oriana ha sempre rimpianto la maternità, che non ha mai avuto. Poi è stata malata; ha lottato con tutta sé stessa contro la malattia – l’alieno! – che con irruenza conquistava giorno dopo giorno fette e fette di corpo sano. Ha dovuto accettare la sconfitta, infine. Con dignità, signorilità. Negli ultimi anni, dopo l’11 settembre, i suoi scritti hanno accesso vivaci polemiche: alcuni l’hanno vista come la paladina dell’odio contro l’Islam, istigatrice di pregiudizi razziali; altri hanno pensato che a difendere un’Europa – che sempre più nicchia e si rinnega – era rimasta solo lei, l’umanista laica, e pochi altri. Certo è che le sue opere letterarie hanno contribuito ad inasprire gli animi: alcune sue idee riguardo all’accoglienza dell’Altro, i toni di come pone la questione, non possono certo essere spacciati per cristiani, né possono essere condivise dai cristiani; alcune sue analisi non sono perfette; anche se qualcuna, sì, non va sottovalutata. Come ha detto il nostro islamico Scialoja, la Fallaci è stata una grande scrittrice e una grande giornalista, che però negli ultimi anni ha avuto una vena critica eccessiva nei confronti dell’Islam. Si può però accogliere la sua voce, quella di Oriana, pur non condividendo le sue posizioni: dalla lettura dei suoi scritti si può ricevere una scossa salutare, che può portare ad una valutazione più articolata, di un respiro più profondo. Se non altro perché s’è ascoltata una voce autentica, non certo sonnolenta. Una vita, si può solo valutare nell’intero arco della sua progressione. Per Oriana tocchiamo solo due fatti: anzi due persone – due uomini – che hanno segnato la sua vita. Nata nel 1929, fu grandemente influenzata dalla figura del padre, un liberale contrario a Mussolini. Giovanissima si unì a lui nel movimento clandestino di resistenza, divenendo membro del corpo dei volontari per la libertà contro il fascismo. A quattordici anni, ricevette un riconoscimento d’onore dall’Esercito italiano per il suo attivismo durante la guerra. La passione per la libertà rimarrà nella sua anima tutta la vita. L’altro uomo: Alekos Panagulis, l’eroe della resistenza greca contro il regime dei colonnelli, tragicamente morto a 38 anni. Lui fu il compagno della Fallaci, il suo amante. Su di lui scrisse il bellissimo libro Un uomo nel quale traccia qualche lezione di vita insegnando a non rassegnarsi, a non subire le storture del potere, a essere coraggiosi custodi della propria libertà. Di Alekos, suo eroe, ella disse: era la saggezza del poeta che si batte contro i mulini a vento: dolorosa, sì, ma insieme ilare e gioiosa. Ora Oriana riposa accanto al cippo che ricorda lui, Panagulis, l’unico amore della sua vita. Riposa attorniata da un altro immenso amore: la sua Firenze.

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