Oxfam, il banale scandalo dei paradisi fiscali

Cresce la diseguaglianza e il pilota automatico dei mercati finanziari è ormai fuori controllo, dice l’economista Becchetti. Intanto le società transnazionali trasferiscono gli utili off shore. Nostra intervista a  Mikhail Maslennikov di Oxfam Italia

Come previsto, in concomitanza con il vertice  della grande finanza a Davos, in Svizzera , gli allarmanti  dati lanciati dall’ong britannica Oxfam,  sulle strutturali e crescenti diseguaglianze economiche che disegnano il nostro mondo, sono rimbalzate per un giorno sulle prime pagine dei giornali e nelle loro home page sul web. Cosa resta dopo l’indignazione? La percezione di non poter cambiare le cose?

 

E i paradisi fiscali dove si nasconde questa ricchezza ingiusta sono davvero fortezze inespugnabili? Cosa impedisce di andarli  (metaforicamente)  a bombardare chirurgicamente? Sono meno pericolosi del sedicente stato islamico per l’equilibrio del Pianeta? E se questo allarme fosse, invece, tutta una montatura ideologica? Lo dicono apertamente gli economisti liberisti che mettono sotto accusa i loro  colleghi Pikkety, Stiglitz, Krugman, prima ancora di Oxfam. Alcuni si spingono fino puntare il dito contro papa Francesco che denuncia “l’economia che uccide”.   

 

Per chi vuole approfondire, e non si accontenta di restare sulla superficie, abbiamo parlato con Mikhail Maslennikov di Oxfam Italia. Commentando i dati impazziti delle Borse, Leonardo Becchetti ha detto che dobbiamo fermare un pilota automatico che ormai è fuori controllo. Ci riusciremo? Partiamo dallo scandalo dei paradisi fiscali indicato nel vostro rapporto. Di quali cifre parliamo?  

 

«Secondo una stima credibile parliamo di un ammontare di patrimoni finanziari individuali, custodito off-shore, pari a settemila e 600 miliardi di dollari: una cifra superiore al Pil della Germania e del Regno Unito messi insieme ed equivalente ai trequarti della ricchezza netta delle famiglie italiane nel 2015.  Se venissero versate le imposte sul reddito generato da questo “tesoro nascosto delle nazioni” i governi avrebbero a disposizione circa 190 miliardi di dollari in più su base annua».

 

Cosa significa “Off shore” ?

«Sono territori che garantiscono vantaggi fiscali per soggetti fisici o entità giuridiche non residenti, anche in assenza di una significativa attività economica o forza lavoro impiegata, predisponendo aliquote effettive basse o nulle su alcune tipologie di reddito».

 

Dove si trovano? E chi riesce a portaci i soldi?

«Ne posso citare alcuni. Dalle Isole Cayman alle Bermuda, dal Delaware al Singapore fino alle “europee” Lussemburgo, Svizzera, Olanda, Jersey, Cipro e Irlanda. Sono il punto d’approdo naturale degli utili trasferiti dalle multinazionali dalle giurisdizioni a medio-alta tassazione, dove conducono l’attività economica, tramite proprie società controllate».

 

Come fanno ad esistere in un modo globalizzato in cui tutte le informazioni circolano continuamente?

«Di fatto sono territori che spesso non partecipano al regime di scambio automatico di informazioni fiscali con le autorità finanziarie di altre nazioni. In alcuni casi hanno adottato leggi o normative che garantiscono assoluta segretezza sulla struttura delle società o sui beneficiari effettivi di asset e entità giuridiche».

 

Quali sono le conseguenze di tali pratiche finanziarie?

«Le società che trasportano nei paradisi del fisco i profitti realizzati altrove, lo fanno spesso in maniera del tutto lecita, anche se in contrasto con lo spirito delle normative fiscali. In questo modo, le multinazionali erodono le basi imponibili nei Paesi in cui operano, causando ammanchi di entrate erariali considerevoli. Una stima prudenziale dell’elusione fiscale delle grandi corporation arriva fino a 240 miliardi di dollari all’anno di tasse non corrisposte agli Stati».

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