Orfani di confine

Da mesi associazioni, chiese, agenti di confine denunciano l'inasprimento delle politiche migratorie dell'amministrazione Trump. Conoscere l'orrore basterà a fermarlo?

Ascoltare le storie di Juan, Josè, Maria è straziante. E le immagini che mostrano i loro bambini avvolti malamente in coperte termiche o dietro le sbarre come piccoli criminali paralizza ogni parola. Senatori, giornalisti, assistenti sociali che visitano il confine sanno solo ripetere: lacrime, grida, lamenti e morte. Perché in una di queste celle Marco Antonio Muñoz, un migrante dell’Honduras, si è suicidato appena è stato separato dalla moglie e dal figlio. Eppure dall’ottobre scorso quando il New York Times segnalò la possibilità di un inasprimento delle politiche migratorie dell’amministrazione Trump, pochi ne presero atto.

Mexico Migrant's Caravan

I dati stabiliscono che tra il primo ottobre 2017 e il 31 maggio 2018, almeno 2.700 bambini sono stati separati dai loro genitori e 1995 solo nelle ultime sei settimane con una media di 45 bambini al giorno sottratta dai loro genitori. I numeri di questa tragedia silenziosa sono ben noti alle chiese di confine e agli stessi gli agenti di frontiera, alcuni dei quali hanno opposto la loro coscienza agli ordini di portare via i piccoli dalle famiglie con cui attraversavano il confine tra Stati Uniti e Messico illegalmente. Spesso non si è dato neppure il tempo di provare che magari una richiesta di protezione umanitaria è stata vagliata o che i documenti parlano di ricongiungimento o che ci sono gli estremi dell’asilo: la via breve è la cella per piccoli e grandi. E gli espedienti per l’allontanamento sono i più diversi: fare ai bambini qualche domanda, offrirgli una doccia o un pasto e dopo non vederli più riapparire perché già dati in affido temporaneo a strutture preposte o ad altre famiglie in Texas. «Questa non è una politica a tolleranza zero – hanno ribadito parecchi senatori e deputati democratici e repubblicani –, ma è una politica a umanità zero».

Mexico Migrant Caravan

L’immigrazione massiccia dai Paesi del Centro e Sudamerica non è una sfida recente, sia l’amministrazione Bush che quella di Obama avevano dovuto fronteggiarla in passato e le restrizioni non avevano scoraggiato l’esodo: nessuno dei due aveva considerato i migranti dei fuorilegge, anzi le immagini di migliaia di famiglie ammassate ai confini con bimbi sporchi e affamati in attesa che le richieste di asilo venissero esaminate avevano convinto Obama, ad esempio, ad aprire a un permesso temporaneo almeno per i minori, il cosidetto Daca, sospeso dal suo successore. Trump invece considera chi attraversa il confine senza autorizzazione un criminale che va comunque posto in stato di fermo, nonostante persistano le condizioni per l’asilo. E una volta in cella, i figli diventano minori non accompagnati e quindi destinati a strutture di accoglienza e all’affido temporaneo. Talvolta, quando si vaglia il respingimento, genitori e figli si ritrovano, molto più spesso invece di questi bambini si perde traccia.
Dalla parte del confine Usa ci sono spesso associazioni cattoliche e parrocchie, ma anche alcune chiese evangeliche si prodigano da anni per portare assistenza e protestano perché non vengano aperte tendopoli dove confinare i bambini separati dalle famiglie e completamente in stato di shock. Pur rispettando le leggi dello Stato e il diritto alla protezione dei confini, contestano politiche migratorie che puniscono le famiglie vulnerabili: «Non importa a quale partito si appartiene, perché in questo modo non si sta servendo il bene comune e non si applica neppure il buon senso», ha dichiarato la diocesi di Toledo in Ohio che vede il suo territorio candidato per la costruzione di centri di accoglienza e che lo scorso aprile si è trovata a fronteggiare un raid notturno degli agenti dell’immigrazione che hanno arrestato e deportato centinaia di persone lasciando i bambini potenzialmente orfani. I vescovi degli Stati Uniti, su proposta del cardinale Joseph Tobin, hanno deciso di inviare una delegazione nei centri di detenzione al confine, soprattutto dopo le aspre denunce del vescovo di San Diego che fronteggia le quotidiane emergenze della sua gente.

United States Secretary of Homeland Security Kirstjen Nielsen holds a news briefing at the White House

Ieri Trump di fronte alle pressioni politiche anche all’interno della sua stessa famiglia (sia la moglie che la figlia hanno contestato la scelta di separare i bambini) e alle critiche da parte dell’Onu sull’applicazione dei diritti umani sul confine meridionale del Paese, ha chiesto al segretario del Dipartimento di Sicurezza Nazionale, Kirstjen Nielsen, di rispondere alle domande dei giornalisti in una infuocata conferenza stampa. La Nielsen ha risposto con dati alla mano reali sull’aumento della pressione migratoria ai confini e sulle scelte dell’amministrazione che «non poteva non far rispettare la legge». Nel suo discorso voleva spingere i democratici, accusati dal presidente per l’attuale crisi, e l’intero Congresso (anche tra i repubblicani ci sono tante contestazioni) a votare il pacchetto sicurezza in cui è previsto anche il finanziamento per la costruzione del muro, cavallo di battaglia della campagna presidenziale. La bufera, però, si è scatenata quando il segretario ha dichiarato che le foto e i video pubblicati dalla stampa venivano scelti per raccontare solo un lato della storia, perché «non vediamo le narrazioni del crimine, degli oppioidi, dei contrabbandieri, delle persone uccise dai membri delle bande immigrate illegalmente e dei bambini americani illegalmente reclutati per compiere crimini». La sollevazione dei giornalisti è stata generale e non pochi senatori hanno chiesto le dimissioni della Nielsen accusata di «non trasparenza, non integrità e non responsabilità».

Trump Immigration

L’indignazione continua a montare. E in più parti del Paese si alza la voce e si protesta. Le migrazioni sono il banco di prova degli ordinamenti democratici in tutto il mondo. Ci scandalizzano le condizioni di questi piccoli provenienti dal Centro America. E spero continuino a scandalizzarci gli orfani subsahariani, quelli eritrei e somali, quelli della minoranza rohingya, quelli venezuelani, affamati dal governo che dovrebbe nutrirli: scandalizziamoci e indignamoci per tutti quelli costretti a lasciare una casa, una famiglia e una comunità. Facciamolo anche per noi, orfani di umanità di fronte alla sfida epocale dei popoli migranti.

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