Oppenheimer e la bomba

Cento anni fa nasceva Julius Robert Oppenheimer, uno degli scienziati più rappresentativi della fisica del XX secolo: il suo nome è indissolubilmente legato alla costruzione della prima bomba atomica, ma forse il personaggio è ancora più interessante per la forte esperienza di travaglio interiore che lo condusse a scelte coraggiose, nel nome dell’uomo e della sopravvivenza dell’umanità. Lo scienziato Prima di svolgere un ruolo fondamentale nello sviluppo della bomba atomica, Oppenheimer effettuò ricerche di rilievo per lo sviluppo della fisica teorica anticipando, fin dagli anni Trenta, aspetti relativi alla teoria sulla formazione delle stelle di neutroni e dei buchi neri. Nel 1942, quando il governo di Stati Uniti assegnò al colonnello Groves il compito di realizzare il progetto della prima bomba atomica, sotto il nome in codice di Distretto Manhattan, Oppenheimer gli consigliò che lo sviluppo dell’arma fosse concentrato in un solo laboratorio dove le persone potessero parlare liberamente l’una con l’altra, dove le idee teoriche e le scoperte sperimentali potessero influenzarsi l’un l’altra, dove lo sciupio, la frustrazione e l’errore dei molti studi sperimentali divisi in compartimenti potessero essere eliminati. Groves non solo seguì il parere di Oppenheimer nella creazione ed ubicazione del laboratorio, sorto a Los Alamos nel Nuovo Messico, ma scelse Oppenheimer stesso come suo direttore. Il successo del progetto dovette molto alla sua guida geniale. Egli attirò un gruppo di scienziati di prima categoria; fu abile nel delegare le responsabilità e trasmettere fiducia alle persone. Malgrado i problemi di sicurezza e segretezza, riuscì a mantenere libero il flusso delle informazioni ed a tenere discussioni approfondite fra tutti i membri qualificati del progetto. Il risultato fu che il 16 luglio 1945 la prova della prima bomba ad Alamogordo dimostrò tutta la potenza della nuova arma. Quando la bomba detonò, Oppenheimer divenne cosciente del versetto del Bhagavad Gita: Sono diventato Morte, il distruttore di mondi, provando allo stesso tempo orgoglio, soddisfazione ed esaltazione, ma anche spavento per ciò che avevano fatto. La bomba Interpellato dai militari nel luglio 1945, insieme a Fermi, Compton e Lawrence, sostenne la tesi secondo la quale l’unico modo per porre fine alla guerra e risparmiare centinaia di migliaia di militari Usa, che sarebbero morti per invadere il Giappone, era l’uso della bomba atomica su un obiettivo militare, in un’ area densamente popolata. I quattro studiosi non sapevano, a differenza del Presidente degli Stati Uniti, dei tentativi del governo nipponico di intavolare trattative di pace, che avrebbero potuto portare ad una soluzione diplomatica del conflitto. Durante la discussione, Oppenheimer espresse sia argomenti a favore che contrari al lancio della bomba, ma, nel suo ruolo di scienziato avrebbe fatto qualsiasi cosa che gli fosse stata richiesta, se avesse pensato che fosse stata tecnicamente possibile. Il 6 agosto 1945 la prima bomba fu sganciata su Hiroshima: 140 mila persone morirono entro l’anno e 200 mila in cinque anni. Dopo tre giorni una seconda bomba fu sganciata su Nagasaki; 70 mila abitanti furono uccisi quel giorno o morirono prima che l’anno finisse, e più di 70 mila morirono nei successivi cinque anni per effetto delle radiazioni. La crisi di coscienza Alcuni scienziati che erano stati ad Hiroshima all’inizio di settembre del 1945 riferirono ai colleghi di Los Alamos la distruzione terribile che era stata provocata alla città, descrivendo l’enormità della sofferenza che la bomba aveva inflitto alla popolazione. Col passare dei giorni crebbe la repulsione per quello che era stato fatto, anche da parte di coloro che credevano che la fine della guerra avesse giustificato il bombardamento. Anni dopo, alla domanda se avesse avuto rimorsi per il fatto che furono uccisi o feriti tanti civili nel lancio della bomba sul Giappone, Oppenheimer rispose: Terribili. E ancora affermò: I fisici sentirono una responsabilità particolare per aver minuziosamente suggerito, appoggiato e, infine, conseguito la realizzazione delle armi atomiche… Parlando senza mezzi termini, senza alcuna battuta di spirito o esagerazione, i fisici conobbero il peccato, e questa è una conoscenza che rimarrà in loro per sempre. Tale consapevolezza del male perpetrato lo condusse verso nuove scelte esistenziali. Rinunciò, infatti, alla direzione di Los Alamos. L’ultimo giorno come direttore del Laboratorio, davanti all’intera popolazione della cittadina riunita per una cerimonia all’aperto, disse tra l’altro: Se le bombe atomiche saranno aggiunte, come nuove armi, agli arsenali di un mondo guerriero… verrà il tempo in cui l’umanità bestemmierà i nomi di Los Alamos e di Hiroshima . Poiché le bombe atomiche sono così terribili, di fronte a questo pericolo comune, tutti i popoli del mondo devono unirsi, altrimenti periranno. Siamo tutti impegnati a realizzare la speranza di un mondo unito, secondo la legge e l’umanità. L’impegno civile Oppenheimer abbandonò le ricerche a scopo bellico per dedicarsi al progetto per il controllo internazionale dell’energia atomica. Partecipò infatti alla stesura dell’Acheson Lilienthal Report che raccomandava l’istituzione di un’Autorità internazionale per lo sviluppo atomico, di ausilio alle Nazioni Unite, con compiti di ricerca, di sviluppo e di sfruttamento delle applicazioni pacifiche dell’energia atomica e di eliminazione delle armi atomiche dagli armamenti di tutte le nazioni, precorrendo in questo modo la nascita dell’Agenzia per il controllo degli armamenti atomici, avvenuta però solo nel 1957. Successivamente, si dedicò all’insegnamento (diresse il famoso Institute for Advanced Study a Princeton) ed al compito di consigliere del governo in questioni nelle quali entrasse l’energia atomica, in modo da esercitare una notevole influenza sulle decisioni del suo paese. Più di tutti gli altri uomini di scienza, si oppose alla costruzione della superbomba ad idrogeno, circa mille volte più potente di quelle di Hiroshima e Nagasaki, rifiutandosi di continuare le ricerche in tal senso, e prendendo posizione, in qualità di presidente del Comitato consultivo generale della commissione per l’energia atomica degli Usa, contro il progetto; una scelta che lo portò a subire un vero e proprio processo. La condanna – in seguito alla quale gli fu vietato l’accesso ai documenti segreti e fu in pratica emarginato – fu giustificata per i contatti che aveva avuto nei primi anni Trenta e nei primi anni Quaranta con certe associazioni di sinistra, ma soprattutto perché, per difetti di carattere, nel 1949 si era opposto al programma di sviluppo della bomba ad idrogeno, rallentandone la realizzazione, con la sua influenza sugli altri scienziati americani. Oppenheimer fu pienamente riabilitato solo nel 1963, quando il presidente Lyndon Jonson gli consegnò l’Enrico Fermi Award, la più grande onorificenza che il governo degli Stati Uniti possa conferire per un eminente servizio nel campo dell’energia nucleare. La proposta fu in realtà approvata da John F. Kennedy poco prima del suo assassinio, riconoscendo che una grande ingiustizia era stata fatta. Lo scienziato morì pochi anni più tardi, il 18 febbraio 1967. La scienza come unità di intenti Oppenheimer fu forse il primo scienziato ad approfondire in tutti i suoi aspetti la tematica dei rapporti tra scienza, etica e società. È universalmente ritenuto che la responsabilità dello scienziato si riferisca in un primo luogo alla sua onestà intellettuale, inoltre poiché la maggior parte degli scienziati sono degli insegnanti, essi hanno pure la responsabilità di comunicare in modo corretto ciò che hanno scoperto. Lo scienziato inoltre dovrebbe pure assumersi la responsabilità dei frutti del suo lavoro anche se ciò è difficile da realizzarsi. Oppenheimer si interroga se ci siano elementi di speranza, per tutti gli uomini, ravvisabili nel modo di vivere degli scienziati. Tra gli altri, in modo particolare, individua l’agire cooperativo che caratterizza il lavoro scientifico. Sottolinea anche che la scienza, col suo enorme potenziale di progresso per l’umanità, senza un ancoraggio etico finirà e si esaurirà. Fin dal novembre del 1945, infatti, durante il discorso tenuto ai membri dell’Associazione degli scienziati di Los Alamos, aveva sottolineato la profonda interdipendenza morale che lega gli scienziati a tutti gli uomini: Il valore della scienza deve essere posto nel mondo degli uomini, per il fatto che tutte le nostre radici affondano lì. Questi sono i legami più forti del mondo, più forti anche di quelli che uniscono noi scienziati, sono i vincoli più profondi, che legano noi ai nostri simili. È la fraternità universale il valore fondamentale di Oppenheimer, un mondo unito, un mondo nel quale le guerre non ci saranno. Proprio questo valore è indicato come modello anche per la scienza: l’unità della scienza non deve essere intesa come un’unità globale di contenuti, ma come una comunità di intenti. Nella storia della scienza, infatti, sono numerosi gli esempi che dimostrano come sia valido per la ricerca il contatto reciproco fra due serie di concetti o di tecniche, sviluppatesi ciascuna indipendentemente dall’altra, ma che dalla reciprocità hanno trovato strade nuove e fruttuose. L’unità della scienza è perciò un’unità potenziale, l’unità delle cose che potrebbero essere messe insieme e potrebbero chiarirsi l’una con l’altra. Informare o obiettare? Anche Albert Einstein ebbe un ruolo importante nella realizzazione della bomba atomica: egli nell’ottobre del 1939, allarmato da una possibile bomba tedesca, raccomandò al presidente degli Stati Uniti Roosevelt l’appoggio finanziario e l’accelerazione della ricerca atomica, con una famosa lettera di cui poi si pentì. Poco prima della morte, nel 1955, si fece promotore della pubblicazione, a Londra, di un Manifesto per la pace nel quale si informavano le autorità mondiali, ed attraverso di loro gli scienziati ed il pubblico, dei rischi assurdi che la corsa agli armamenti portava all’umanità. Il Manifesto fu sottoscritto da migliaia di scienziati. Purtroppo, però, mentre da una parte essi informavano la società civile, dall’altra molti continuavano a fare il loro dovere nei laboratori, come prima. Al riguardo Einstein distingue due compiti del lavoratore intellettuale: il compito di scienziato e quello di cittadino. È la ben nota questione dellaneutralità dello scienziato rispetto ai valori: come può lo scienziato (che per quanto è possibile deve conservare un’assoluta oggettività nel suo laboratorio) interessarsi dei giudizi di valore che sono, per loro stessa natura, o di carattere molto soggettivo, se riguardano le valutazioni personali, o di carattere filosofico, se riguardano le norme etiche e le attribuzioni di senso? Oppenheimer, nel suo impegno per il controllo degli armamenti nucleari, risolve il problema in modo originale e personale, compiendo una sintesi fra il compito dello scienziato e quello del cittadino, e attribuendo in tal modo proprio un giudizio di valore ai risultati dell’attività scientifica. Vi è una differenza sostanziale fra il solo informare dei rischi connessi ai risultati della ricerca scientifica e invece l’obiettare, il cambiare strada rispetto a certi tipi di ricerca, rischiando la propria carriera e l’espulsione dalla comunità scientifica. La posizione di Oppenheimer, la più avanzata, purtroppo è rimasta abbastanza isolata. Oggi, tra tanti dibattiti su etica e bioetica, finanziamenti alla ricerca, manipolazioni genetiche e principio di precauzione, terrorismo e armi di distruzione di massa, forse sono maturi i tempi per rivalutare la scelta di Oppenheimer. Una scelta certamente non facile, ma che ci conduce ad una rifondazione della scienza sulla base della responsabilità dell’uomo per l’uomo. Per i contemporanei e per le generazioni future.

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