Oltrepassare l’umano?

Il Natale che stiamo per celebrare dischiude lo stupore di un orizzonte altro e affascinante.
Presepe vivente

Dell’oltre-uomo aveva scritto Friedrich Nietzsche, senz’altro per la nostalgia struggente di qualcosa che potesse ridare senso e luce a un’esistenza e a una società ingrigite e svuotate perché dominate dalla convenzione e dal calcolo. Ma sappiamo quali terribili conseguenze una distorta e persino luciferina interpretazione di questa parola abbia seminato, nei lager e nei gulag, al cuore del Novecento.

 

Ai giorni nostri, sono la robotica e l’ingegneria genetica a tentar la scalata della trasformazione di ciò che è umano in qualcosa che sia al-di-là di esso. Ma – come grazie a Dio non si è mancato di far notare, e da parte di pensatori che non s’ispirano a una visione cristiana delle cose – il realistico pericolo che così si para dinnanzi a noi è quello che le protesi tecniche che dovrebbero propiziare tale oltrepassamento, prendendo il sopravvento, siano esse a ridurre l’uomo a una loro protesi!

 

Del resto, senza cedere alle suggestioni della fantascienza, basta pensare a quanto già sin d’ora il rischio di essere schiavizzati, in tante e subdole forme, dai manufatti della tecnica che popolano la nostra esistenza, sia una realtà.

Il Natale che stiamo per celebrare dischiude, ancora una volta imprevistamente, lo stupore di un orizzonte altro e affascinante. Sì, l’uomo è chiamato a oltrepassare sé stesso: ma per diventare, in verità e pienezza, ciò che già è, uomo secondo il disegno e la vocazione che Dio gli ha confidato.

 

E ciò si fa possibile perché è stato Dio, per primo e per sempre, a oltrepassare sé stesso facendosi uomo nel Figlio suo, Gesù. Dio che si fa uomo! C’è notizia più sconcertante e inebriante di questa? Dio che si fa uomo: perché l’uomo si faccia capace di diventare sé stesso. Non da solo, non contro o senza Dio, ma con lui e in lui. Innestando il suo insopprimibile anelito a oltrepassarsi nell’oltrepassamento d’amore con cui Dio s’è fatto noi per farci sé.

 

Si può di qui intuire che cosa significhi, per l’uomo, oltrepassare sé stesso: diventare sé come Gesù, il Figlio, oltrepassandosi verso l’altro, il prossimo, il povero, il sofferente. Così ritrovando sé in Dio, e Dio nell’altro, e l’altro e sé, insieme, in Dio.

Con la possente e insieme folgorante creatività del genio poetico, Dante, nella terza sublime cantica della sua Commedia, esclamava: «Trasumanar significar per verba non si poria…». Trasumanar, cioè oltrepassare l’umano in Dio ma nell’umano stesso, è cosa in sé indicibile. Non lo si può né lo si fa per il tocco d’una bacchetta magica, né in virtù del titanico dispiegarsi delle nostre energie: ma solo in libera obbedienza d’amore al dono e alla speranza che nel Natale ci visitano dal Cielo.

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