Nubifragio in Sicilia

Fino a ieri Giampilieri era un tipico borgo appeso a ridosso di una montagna...
Fino a ieri Giampilieri era un tipico borgo appeso a ridosso di una montagna, con le case strette le une alle altre, le vie strette e ripide. Bellissimo, come tanti borghi italiani. Oggi appare sfregiata dal fango che si è fatto largo con violenza nelle strade strette, è entrato nelle case fino al secondo piano, ha strappato persone e cose alla loro vita quotidiana.

Il nubifragio che ha investito la Sicilia orientale e in particolare la provincia di Messina tra i comuni di Scaletta Marina, Giampilieri, Briga e Scaletta Zanchea ripropone oggi un’immagine di un territorio fragile al quale rischiamo di fare l’abitudine. Il bilancio delle vittime è ancora incerto ma come sempre in questi casi è destinato a salire: al momento la Protezione Civile parla di quattordici morti, una ventina di dispersi e 40 feriti ricoverati in ospedale.

Le prime piogge intense dopo l’estate sono bastate a scatenare l’improvvisa ribellione della natura in un territorio vallivo e collinare che ha una conformazione idrologica particolare: è solcata da piccoli e grandi canali che rendono instabile il territorio. Se a questo aggiungiamo che negli ultimi decenni quel territorio è stato messo a dura prova dalla mancanza di cura per la vegetazione e da un’edificazione intensa e priva di regole in aree a forte rischio ambientale, allora il rischio aumenta esponenzialmente. E l’allarme era già da tempo stato lanciato.

“Una tragedia annunciata, anzi che si preannunciava ogni anno. E questa volta purtroppo è accaduto” sono state le parole a caldo del presidente dell’ordine dei Geologi della Sicilia, Gian Vito Graziano, che ha commentato la notizia per l’agenzia di stampa Apcom. “Nelle zone a sud di Messina, ma anche in altre province come a Palermo, ogni anno si ripropongono sempre gli stessi problemi avvicinandosi ai mesi più piovosi. Oggi – prosegue – esistono strumenti di pianificazione regionale avanzati, che ci fotografano situazione quasi in diretta, ma non si interviene. La colpa è di un’assenza cronica di fondi, ma anche la manutenzione ordinaria – come la pulizia di canali, fiumi e tombini – non viene fatta”.

Una cultura del territorio che sembra andata dispersa. Costruire lungo il greto di un fiume, a ridosso di sistemi rocciosi, lungo pendici a rischio di smottamento, non avere cura di reintegrare la vegetazione dopo i ripetuti incendi estivi, proporre superfetazioni e accrescimenti del patrimonio abitativo esistente (anche quando rientrano nei Piani Casa proposti dalle Regioni) sono tutti comportamenti che consentono di accrescere i profitti ma che inevitabilmente trasformano il territorio in una bomba pronta ad esplodere. Alla prima pioggia d’autunno.

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