Note sul consumo e sulla felicità

Un fenomeno interessante di questi ultimi decenni è che, assieme a una notevole crescita dei redditi e dei consumi, alla crescente commercializzazione di molti ambiti della vita, si assiste a un continuo sviluppo di movimenti, di diverse matrici ideologiche e culturali, che rivendicano stili di vita e di consumo più sobri, più attenti all’ambiente (naturale e sociale), elaborando esperienze che vanno in direzione contraria al consumismo e all’edonismo che appaiono come i fenomeni dominanti la scena dei consumi delle società avanzate contemporanee. Sia il consumismo che i movimenti anticonsumistici sono amplificati, nel loro impatto culturale, dai processi di globalizzazione, che fanno viaggiare sempre più velocemente beni, stili di consumo, ma anche reazioni, paure e disagio. C’è poi, oggi, un filone di studi particolarmente interessante che è quello che ha a che fare con il rapporto consumo-felicità. Questi studi sulla felicità nascono dalla costatazione che l’equazione “più ricchezza uguale più benessere” comincia a scricchiolare. È questo un ritorno di interesse degli economisti verso il tema della felicità. Da sempre gli economisti, e ogni uomo di buon senso, hanno riconosciuto che l’aumento della ricchezza o del benessere economico, anche se non sempre portava a un “proporzionale” aumento di felicità, non

portava comunque a una diminuzione. Il fatto nuovo che sta invece emergendo negli ultimi anni è proprio il rapporto perverso tra aumento di ricchezza (reddito) e felicità: in certi casi avere più ricchezza ci fa più infelici. È da questa “novità” che gli studiosi contemporanei sono partiti negli studi sulla felicità, un tema che oggi sempre più è presente tra gli economisti. 

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