Non solo sport

Storie e profili di uomini e donne, in gara a Londra. Ci sono i campioni olimpici e non solo: ci sono quelli per cui essere ai giochi è già una vittoria
Sarah Attar

Su Londra 2012 si potrebbe già iniziare a scrivere un libro ricco di storie, aneddoti, curiosità e retroscena. Eppure mancano ancora quattro giorni alla conclusione della trentesima edizione dei Giochi Olimpici. Negli ultimi giorni ne abbiamo viste di tutto i colori. Ce n’è per tutti i gusti e per ogni tipo di palato. Basta solo un po’ di curiosità per capire che le Olimpiadi non sono altro che il grande festival dell’umanità.

Facce più o meno note, uomini e donne da conoscere, “travestiti” da sportivi, portatori sani di sorrisi che testimoniano la felicità di chi già si sente vincente ad annodare le scarpe per scendere in pista, alla stregua di chi invece conquista il gradino più alto del podio. Non c’è solo questo e non finisce tutto qui purtroppo perché ai Giochi affiora prepotente anche l’altra faccia della medaglia, quella più oscura del doping, che a volte porta con sé il seme della verità, ma di questo se ne è già parlato troppo e a lungo. Le responsabilità saranno accertate dalla giustizia sportiva. Ci sono però altre storie.

La  donna d’acciaio 47 anni e non sentirli. Alle 11.15 ora italiana, Josefa Idem scenderà in acqua a bordo della sua amata canoa per sfidare le avversarie e la storia dello sport nella finale K1 500. Sempre al vertice da Los Angeles 1984 a Londra 2012. Uno sconfinato patrimonio atletico ereditato dalla Germania Ovest nel 1990, quando “Sefi” ha deciso di gareggiare indossando la maglia azzurra, complice anche quel Gugliemo Guerrini, allenatore nello sport, marito nella vita. Due figli e un mandato come Assessore allo sport del comune di Ravenna alle spalle. Che dire? Comunque vada sarà un successo, ma siamo sicuri che la favola della Idem terminerà a Londra?

I 10.000 di “Re” Farah Mohammed Farah ha nove anni ed è ancora un bambino nel 1991, quando sbarca a Londra da Gibuti, piccolo stato del corno d’Africa. Ad attenderlo c’è il padre cresciuto ad Hounslow, sobborgo occidentale della grande capitale britannica. Lui, Farah senior, aveva conosciuto una donna durante una vacanza in Somalia e se ne era innamorato al punto da metter su famiglia.
Inizia così il capitolo inglese della favola del piccolo Mohammed. Nuova patria, nuova bandiera,  nuovi orizzonti, nuove possibilità. Da bambino africano nato a Mogadiscio, a campione olimpico alle Olimpiadi di Londra 2012 nei 10000 metri. Nel mezzo una vita: il primo giorno di scuola senza sapere una parola d’inglese e il colore della pelle che non attira le simpatie dei compagni, poi la straordinaria visione di un talento da parte di  Alan Watkinson, insegnante di educazione fisica presso al Feltham Community College, durante una corsa campestre. «La sua corsa era leggera, priva di ogni sforzo», ed è con questo stile che Farah ha vinto la medaglia d’oro nella sua Londra, vent’anni dopo quell’aereo atterrato da Gibuti. Ad attenderlo sul traguardo i complimenti degli avversari e l’abbraccio della famiglia.

Dietro le quinte  Sarah Attar, mezzofondista, ieri ha corso la batteria di qualificazione degli 800 metri come Woroud Sawalha anche lei mezzofondista anche lei negli 800. Non hanno vinto, anzi sono arrivate ultime, ma probabilmente passeranno alla storia. Il motivo? Sarah viene dall’Arabia saudita ed è la prima donna a prendere parte ad una gara olimpica di atletica leggera. Pantaloni lunghi così come le maniche della maglietta, unite ad un avvolgente velo per coprire il capo. 45 i secondi di ritardo dalla vincitrice, ma è già record!

Woroud invece è palestinese, viene da Nablus, ed ha gareggiato con lo hijab. «Il velo mi offre la possibilità di dimostrare che anche le donne possono fare sport, e incoraggiarle a combattere lo stereotipo che lo sport femminile rovini la salute e la vita sociale». Non si trovano nel medagliere, ma anche queste sono vittorie!

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