Non solo dignità e diritti. Domande da Pomigliano

Intervista ad Antonio Di Luca, operaio Fiat in cassa integrazione a Pomigliano D’Arco. La nuova Fabbrica Italia e la politica industriale
Pomigliano

Il volto enigmatico di Meryl Streep è comparso alla fine di una lunghissima intervista su temi finanziari, rilasciata, nel febbraio del 2012, da Sergio Marchionne a Massimo Mucchetti del Corriere della sera. L’amministratore delegato della Fiat, ha citato la bravissima attrice americana  nell'interpretazione di Sophie, una madre costretta dai nazisti a decidere quale dei due figli lasciare in vita. Lo stesso dilemma di un'azienda quando decide di chiudere uno stabilimento per cercare di rimanere comunque in vita.
 
Lo stesso tema l’ha affrontato Antonio Di Luca, operaio Fiat, rappresentante sindacale metalmeccanico nello stabilimento Gian Battista Vico di Pomigliano d’Arco, quando nel maggio 2011 si è recato a Palermo invitato dal Centro Arrupe, proprio per condividere storie e analisi a partire da chi, nel Sud, vive gli effetti di una certa globalizzazione sulla propria pelle. A fine 2011, come si sa, la Fiat ha chiuso lo stabilimento siciliano di Termini Imerese.
 
Di Luca è anche autore del libro, Da Pomigliano a Mirafiori. Fiat: una storia italiana (Officinae ECS), con testimonianze e analisi della politica industriale dell'azienda a partire dai lavoratori. Il sindacalista assieme ad altri circa tremila dipendenti si trova in cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività. Parte dei lavoratori della stessa azienda sono invece stati assunti presso lo stabilimento della multinazionale dell’auto che ha aperto, nello stesso sito partenopeo, la Fabbrica Italia Pomigliano (Fip).
 
Ci mettiamo in contatto con Di Luca, dopo una delle assemblee che regolarmente organizza, fuori dall’ azienda, come rappresentate della Fiom Cgil. Iniziamo un colloquio che avrà più puntate per cercare di affrontare la complessità della situazione.
 
A suo giudizio come mai non è stato finora riassunto dalla Fabbrica Italia Pomigliano? 
«Farei prima di tutto una correzione semantica. È più corretto dire che non sono stato richiamato. Cosa direste di un salumiere che chiude bottega e riapre negli stessi spazi con un'altra insegna decidendo quali dipendenti richiamare? È evidente la finzione ed è scandaloso che sia accettata come un dato di fatto. Io invito a far notare di essere stato assunto nel 1989 assieme a tanti altri lavoratori nello stesso stabilimento dove ho fatto le visite mediche preventive e dove ho iniziato costruendo le Alfa 33 di Italia 90. Ci troviamo di fronte allo stesso luogo, stessa società e stesso datore di lavoro. Mi sembra paradossale chiamarla la “nuova azienda”. Forse può passare come operazione di immagine, ma è una violazione dell’articolo 2112 del codice civile sul trasferimento d’azienda».
 
Secondo i vostri calcoli quanti sono i lavoratori Fiat “richiamati” in Fip?
«Sono circa duemila e cento su un totale di oltre cinquemila e duecento dipendenti Fiat a Pomigliano. La Panda è una gran bella auto, ma se non entra in produzione almeno un altro modello potranno rientrare al lavoro, al massimo altri 500 operai. Chi rimane fuori resterà in cassa integrazione fino a luglio 2013 e poi si prospetta la messa in mobilità che, con la riforma Fornero degli ammortizzatori sociali, può anticiparne il baratro e vuol dire restare senza lavoro per cessazione attività. Se poi allarghiamo lo sguardo all’indotto, i lavoratori coinvolti arrivano a 14 mila e la situazione diventa esplosiva se si considera che nel Mezzogiorno si tratta, spesso, circa 8 su 10, di famiglie monoreddito come la mia composta da moglie e tre figli, di 16,14 e 3 anni di età».   
 
Avete denunciato la discriminazione della Fiat contro gli iscritti Fiom, alcuni dei quali avrebbero riconsegnato la tessera del sindacato per tornare a lavorare. È cambiato qualcosa ultimamente?
«È un dato di fatto, purtroppo. Ma la prassi della Fiat è nota. Ha già collezionato una serie di condanne dai tribunali per comportamento anti sindacale. L’ultima quella relativa alla Magneti Marelli. È un vero e proprio comportamento discriminatorio che non è adeguatamente sottolineato sulla stampa per la potenza mediatica della Fiat. Ciò che non riesco a sopportare è l’idea di una sproporzione di forze tra i dipendenti e una multinazionale che può far credere di richiamarmi per farmi “riassumere” nella stessa azienda e magari farmi fare la visita medica adesso che a 45 anni soffro per delle discopatie che sono causate da questi anni di duro lavoro nella stessa fabbrica. Attualmente nella Fip si producono 700 auto al giorno con una forza lavoro di 2071, dipendenti scelti tra coloro che non sono iscritti alla Fiom»

Come fate a resistere in queste condizioni? Esiste un fondo di solidarietà nel sindacato?
 «Si resiste per una questione di dignità. Esiste la rete familiare che è il primo welfare, come si dice. La Fiom stessa ha pochi fondi. Sono nel direttivo della provinciale di Napoli ma non faccio parte della segreteria esterna e non ricevo una retribuzione come sindacalista. Dalla Cgil abbiamo avuto il contributo di un furgone che ci serve come base per le iniziative e le assemblee che siamo costretti a fare all’aperto, fuori dalla fabbrica, come le riunioni che facciamo periodicamente con i cassintegrati per aggiornare sugli sviluppi del piano auto della Fiat, che fa acqua da tutte le parti. Non solo sul piano dei diritti. Magari chi non vive in fabbrica può minimizzare sulla riduzione dei diritti perché crede che comunque migliori la retribuzione e lo status degli operai e, invece, la realtà è che la Fiat continua a contrarre la produzione. Ha chiuso, senza colpo ferire, Termini Imerese e lo stabilimento Irisbus di Avellino dove si costruivano i pullman. Da noi, a Pomigliano, ha ridotto i modelli in produzione da 5 a 1 solo, mentre i suv che doveva fare a Mirafiori usciranno dallo stabilimento Russo. Altri investimenti stanno orientandosi verso la Serbia».
 
Eppure dallo spot pubblicitario della Fiat si trasmette un messaggio di forte impegno nella produzione industriale, a partire dalle immagini dei nuovissimi impianti di Pomigliano. Che ne dice?
«Che non si può parlare di massiccio investimento a Pomigliano. Hanno dovuto cambiare le linee per necessità perché si è passati dalle auto di grandi dimensioni (segmento C e D) alla Panda (segmento A) ma i 20 miliardi promessi in Italia restano sospesi alle fluttuazioni delle condizioni di mercato e, vedendo gli investimenti sui siti stranieri dove la Fiat riceve tutte le agevolazioni possibili, arriviamo al paradosso di un’azienda che detta le condizioni a tutti nel momento in cui sta abbandonando il Paese».
 
Ma viene detto che, dopotutto, o si rendono governabili le aziende secondo il metodo Marchionne oppure, nel Sud, resta solo il lavoro nero. È un’osservazione dura ma non le sembra realistica?
«A dire il vero dicono anche che a Napoli siamo poco inclini alla modernità e che ci resta solo l’arruolamento nella criminalità. Devo dire che lo ritengo fortemente offensivo oltre che scorretto a livello teorico. Per me fabbrica, lavoro e diritti sono parole indivisibili e tutte hanno bisogno dell’etica per sostenersi».
 

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