Non siano solo i lavoratori a pagare

Intervista con il segretario generale della Fim Cisl Marco Bentivogli sulla crisi della siderurgia e il caso Taranto: «Salvare insieme salute, lavoro, ambiente»
Ilva

I dati sulla salute e l'ambiente a Taranto sono sempre più preoccupanti. Bisogna trovare una via di uscita. Sentiamo il parere di Marco Bentivogli, segretario generale dei lavoratori metalmeccanici della Cisl. La tesi più volte ripetuta dal sindacato è quella di esplorare tutte le strade per salvare il lavoro e la qualità dell'ambiente con gli interventi della dirigenza dell'Ilva. Venendo meno questo interlocutore, resterebbe solo l'inquinamento ,senza bonifiche e senza il lavoro.

Il ministro Clini ha detto che non farebbe abitare un suo nipote nel rione Tamburi di Taranto. Bisogna riconvertire il territorio? Oppure è compatibile l'attività dell'Ilva con la città?
«Taranto ha il centro siderurgico più grande d'Europa, ormai l'ultimo a ciclo integrale (dopo la fermata dell'altoforno di Piombino e in previsione della chiusura della Ferriera di Servola a Trieste). È una città inquinata grazie allo scontro inconcludente tra l'industrialismo ottocentesco e l'ambientalismo populista. Mentre il resto del mondo praticava le vie della sostenibilità con scelte concrete, a Taranto (e nel resto del Paese) le questioni ambientali sono occasioni di visibilità solo per le periodiche faide elettoralistiche, dagli anni Settanta ad oggi. Il risultato è che solo in Italia acciaio e ambiente litigano. Le ordinanze della magistratura arrivano grazie all'assenza del governo e al vuoto politico delle problematiche. Ora l'Aia(autorizzazione ambientale integrata) appena rilasciata, per noi rappresenta un quadro definitivo di strumenti strutturali per bonificare e riqualificare il sito. Si adotteranno a breve misure che l'Europa prescrive entro il 2016 e che i siderurgici tedeschi vogliono ottemperare entro il 2020. L'azienda non ha più alibi, deve attenersi all'Aia che non azzera del tutto la produzione, l'altra strada determinerebbe la morte produttiva dell'Ilva».

Che tipo di intervento ha compiuto, finora, il sindacato per tutelare la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini?
«La Fim e la Cisl dal 2003 hanno riacceso i riflettori, spesso inascoltati sulla questione ambientale. Dal 2008 abbiamo fatto una scelta netta sulla sostenibilità dello sviluppo e proprio in questo campo abbiamo ricostruito il coordinamento della Siderurgia, dell'Energia, e lo abbiamo integrato nelle responsabilità con quello dell'Ambiente, salute e sicurezza. Nel 2009 abbiamo spinto per l'accordo sull'abbattimento delle diossine, in pieno scontro tra regione e azienda. Abbiamo rinnovato l'integrativo Ilva creando figure di Rls con compiti aggiuntivi proprio sull'ambiente. Abbiamo avviato una collaborazione con i tecnici dell'università Cattolica proprio sulla questione ambientale e per sopperire all'assenza di monitoraggio e di sorveglianza sanitaria. Se un'azienda inquina, i primi a pagarne sono i lavoratori. Chiediamo lavoro, salute e ambiente, insieme! Abbiamo grande rispetto per l'azione dei magistrati, chiediamo solo che vadano avanti tenendo conto della portata sociale dei loro provvedimenti affinché non paghino il conto solo i lavoratori».

Chi può sostenere oggi i costi di bonifica dei numerosi siti contaminati da un certo tipo di industrializzazione?
«Tenere la produzione attiva è una garanzia anche per questo. Dei 57 Sin (Siti di interesse nazionale), molti sono vicini ad aziende da anni chiuse. Ricordiamo che Bagnoli è stata chiusa nel 1988 ed è stata bonificata per 1/3. Vanno responsabilizzate le aziende prima che facciano le valigie. I Sin sono il 3 per cento del nostro territorio nazionale e in questo periodo di sofferenza per l'industria primaria (siderurgia, chimica, alluminio) bisogna partire con le bonifiche superando il paradosso italiano: i siti inquinati si chiudono o ci si mette un cartello che annuncia il pericolo. Negli altri Paesi si rimuove il motivo di pericolosità».

La siderurgia ha ancora un futuro in Italia o dovrà capitolare davanti alla concorrenza indiana e cinese?
«L'Italia, non può fare a meno dell'industria perché è povera di materie prime e deve finanziare le sue importazioni con l'export, il cui punto di forza è sempre stato il manifatturiero su cui siamo ottavi nel mondo e secondi in Europa. Le grandi concentrazioni dei produttori di acciaio e alluminio nei Bric (Brasile, Russia, India, Cina) hanno dei vantaggi di approvvigionamento (materie prime, energia) e maggiore capacità di creare infrastrutture. La Cina, che ha continuato a produrre (facendo magazzino) quando la domanda d'acciaio (2009) si era dimezzata, ha sostegno statale, possibilità di approvvigionamento di materie prime e energia a basso costo, ha debole legislazione ambientale: la sfida è dura ma non impossibile né tantomeno perduta. Il costo del lavoro 20 anni fa era 20 volte più basso, ora la distanza si è abbassata: è solo 4 volte più basso che da noi. Certo che se aggiungiamo alla globalizzazione l'incapacità di gestire problemi ambientali come a Taranto, le speranze si polverizzano».

Cosa avete chiesto al governo?
«Abbiamo chiesto un tavolo urgente. L'industria primaria va difesa e oggi le vicende Ilva, Alcoa, ThyssenKrupp-Outokumpu, ArcelorMittal, Lucchini, Beltrame dimostrano che siamo davanti a un crinale pericolosissimo. Vorremmo che il governo riscoprisse la politica industriale, siamo riusciti a fare 3 anni fa molto sull'antidumping. Ora dobbiamo agire su energia, certificazioni, infrastrutture. Un segnale di grande apertura su questi temi ci è giunto dal sottosegretario Claudio De Vincenti. Noi siamo pronti!».

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