Non passa l’equazione “aborto = diritto umano”

Il documento bocciato dal Parlamento europeo raccomandava l’introduzione in tutti gli Stati di programmi di educazione sessuale a senso unico per giovanissimi e adolescenti
Embrione

Per la seconda volta il Parlamento Europeo ha respinto la risoluzione Estrela (dal nome della relatrice del testo, la deputata socialista portoghese Edite Estrela), approvata dalla Commissione per i diritti delle donne e la parità di genere col titolo “Sulla salute e i diritti sessuali e riproduttivi”.

Tra gli altri contenuti della risoluzione, tutti discutibili, spicca il caloroso invito a rendere «i servizi di qualità per l’aborto legali, sicuri e accessibili a tutti, nell’ambito dei sistemi di salute pubblica degli Stati membri» in quanto «tematica che tocca i diritti umani».

Il rigetto (non c’è stato neanche il dibattito in aula) di questa risoluzione è senza dubbio notevole, considerata la forte pressione che da anni viene sistematicamente esercitata sulle massime istituzioni internazionali per introdurre l’aborto nel catalogo dei diritti umani, attraverso espressioni edulcorate come quella, appunto, di «salute e diritti sessuali e riproduttivi» (inaugurata al Cairo nel 1994 in occasione della conferenza Onu sulla popolazione e lo sviluppo).

La risoluzione Estrela (33 pagine, 91 articoli) si è posta poi con la pretesa di “governare” in Europa (a livello culturale e politico, poiché le risoluzioni non sono giuridicamente vincolanti) tutto ciò che ruota attorno ai temi della sessualità e della procreazione con il criterio di una piatta autodeterminazione sganciata da ogni ricerca di significato che vada oltre l’immediato fruibile e da ogni forma alta di responsabilità verso se stessi e verso l’altro, compreso il figlio che può essere generato (da eliminare, se fuori programma).

Di qui la pervasività della mentalità contraccettiva, la proposta di programmi di educazione sessuale a senso unico per giovanissimi e adolescenti, il giudizio negativo sull’obiezione di coscienza ritenuta un ostacolo all’esercizio del diritto di aborto.

La replica che ha fatto affondare la corposa risoluzione è stata affidata a poche righe che hanno puntato a valorizzare la competenza degli Stati in un ambito esistenziale così complesso e delicato. Come a dire che non sono accettabili imposizioni ideologiche, sia nella stessa Unione Europea, dove esistono già decisioni che riconoscono l’inizio dell’embrione umano nella fecondazione (si veda la sentenza della Corte di giustizia dell’UE, 18 ottobre 2011), sia nei 28 singoli Stati dell’Unione, dove quasi due milioni di cittadini hanno riconosciuto che l’embrione umano è “uno di noi”.

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