Non c’è pace senza perdono, una testimonianza dalla Colombia

La straordinaria storia della “Comunità di Pace” di San José de Apartadò in Colombia, formata da centinaia di contadini che rifiutano, a costo della vita, l’uso delle armi e la coltivazione della coca. Il legame con Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace promosso dalla Comunità Papa Giovanni XXIII
Foto Apg23

Le notizie e gli eventi passano veloci, ma è difficile dimenticare lo smarrimento e la commozione provata ascoltando le testimonianze proposte nell’incontro “Non c’è pace senza perdono e senza giustizia” che si è svolto la sera del 16 novembre a Roma nella sala della Protomoteca del Campidoglio. L’iniziativa, promossa da Cei, Caritas e una serie di altre realtà, ha voluto segnare l’inizio di un impegno deciso delle associazioni cattoliche a favore della pace verso la marcia di fine anno che si svolgerà il 31 dicembre a Gorizia, terra di frontiera, conflitti e migrazioni.

Partire dalla credibilità dei testimoni obbliga a confrontarsi con “lo scandalo” del Vangelo. Rimandiamo perciò al video integrale dell’incontro dove è intervenuto il cardinale Matteo Zuppi.

Laura Munaro ha parlato della storia di resistenza nonviolenta di Daoud Nassar, palestinese cristiano, fondatore del progetto “Tent of Nations”. Giovanni Bachelet ha offerto la genesi delle parole dei perdono espresse dopo l’omicidio del padre Vittorio da parte delle Br. Una storia rifondativa della società italiana sconvolta dagli anni di piombo.  Sharizan Shinkuba, proveniente dalla lontana Abkhazia, ha parlato del metodo di riconciliazione proposto da Rondine Città della Pace. Qui di seguito riportiamo la preziosa testimonianza di Silvia De Munari sulla straordinaria vicenda della “Comunità di Pace” di San José de Apartadò in Colombia.

Mi chiamo Silvia De Munari, ho 37 anni e dal 2013 faccio parte di Operazione Colomba, il Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, nato nel 1992 dal desiderio di alcune persone e obiettori di coscienza di vivere concretamente la nonviolenza in zone di guerra.

Sono partita per la prima volta per la Colombia che avevo 24 anni. Sono poi ripartita per il Cile, a svolgere il servizio civile all’estero grazie alla Comunità Papa Giovanni XXIII. A 25 anni sono giunta nuovamente in Colombia grazie a Operazione Colomba, CorpoNonviolento di Pace della Apg23. Dico grazie perché devo molto ad ognuna per la crescita spirituale ed umana della mia persona.

Da quel momento, la maggior parte dei miei passi sono avvenuti in  Colombia, Paese dal quale sono rientrata pochi giorni fa. Un Paese che, nonostante gli importanti passi in avanti fatti in tema di accordi di pace, è colpito, da oltre 60 anni, da una guerra “civile” che ha causato, oltre 450mila morti, centinaia di migliaia di persone scomparse, milioni di persone sfollate.

Grazie alla condivisione diretta, essenza della presenza di Operazione Colomba nei conflitti, anno dopo anno di contatti sul campo con le vittime, di ascolto, di accompagnamento a persone e comunità che resistono pacificamente, che hanno scelto la nonviolenza, abbiamo il grande privilegio di poter raccontare quanto appreso proprio da queste persone, da queste comunità: sono loro a farci capire che cos’è il significato, concreto, di perdono.

Avverto la grande responsabilità etica e morale che ormai da più di 10 anni mi accompagna giorno per giorno: la responsabilità di portare la voce di coloro che nonostante aver visto torturare le persone care, nonostante aver visto i corpi di padri, madri, fratelli, sorelle fatti a pezzi, corpi violentati, bambini e bambine sgozzate, crimini di guerra e di lesa umanità, nonostante loro stessi e loro stesse siano state vittime o siano tutt’ora vittime di violenze, intimidazioni, minacce di morte, alla domanda: come si costruisce la pace? rispondono che non si può costruire la pace senza il perdono.

Alcuni giorni fa, quando ero ancora in Colombia, ho avuto modo di dialogare con Maria Brigida Gonzalez, una delle fondatrici della Comunidad de Paz de San José de Apartadó. In questo presente così buio, così difficile da sopportare, sono proprio queste persone a darci il coraggio e la forza per dire: non arrendiamoci, andiamo avanti, non perdiamo la speranza.

Però Brigida ci parla chiaro e riporto qui le sue parole: «Ci siamo costituiti come Comunidad de Paz nel mezzo di numerosi crimini di lesa umanità, morti selettive, bombardamenti, massacri. E tra questi massacri c’è stato anche quello nel quale assassinarono mia figlia Elisenia. Nel primo istante è stato molto difficile per me, tanta era la rabbia che pensavo di cadere e di non riuscire mai più a rialzarmi. Però ho sentito esistere dentro di me una forza più potente della rabbia, dell’odio, una forza che mi ha aiutato a rialzarmi e ad avere ancora più energie per continuare a lottare con perseveranza nella costruzione pacifica di un mondo giusto, chiedendo a Dio che queste persone che tanto danno hanno fatto, possano, un giorno, pentirsi. Sì, è difficile perdonare, ma non è impossibile. La malattia più grave che c’è oggi al mondo è l’odio e la vendetta.

Da quando abbiamo sperimentato come Comunità la capacità di perdonare, che siamo esseri umani e che, essendo tali, non abbiamo il diritto di condannare nessun altro essere umano alla morte, questo passo è stato per noi il primo mattone per la costruzione della pace. Siamo nati come Comunità nel 1997 rifiutando l’uso delle armi come risposta ai massacri perpetrati nei nostri confronti, rifiutando la collaborazione con attori armati, ma soprattutto rifiutando e lavorando giorno per giorno affinché in noi mai si piantassero semi di odio e di vendetta. Volevamo trovare un’alternativa per vivere in mezzo alla guerra senza farne parte. Non volevamo abbandonare la nostra terra. Abbiamo scelto di coltivare la vita, in tutti i suoi aspetti, non sapendo bene all’inizio cosa ne sarebbe nato, ma convinti che non c’era altro cammino possibile alla guerra: avevamo scelto di non voler far vivere la rabbia, l’odio, abbiamo scelto di non ammazzare, abbiamo optato per la vita, per la nonviolenza attiva nonostante i fiumi di sangue che vedevamo scorrere sulla nostra terra.

Credo che il perdono, il non portare odio, il non sentire quella maledetta sete di vendetta, sia  il miglior rimedio per costruire la pace. Ma non c’è solo l’odio e la vendetta nella guerra…c’è il potere, il potere politico, il potere economico che si concentra nell’essere umano e che fa perdere valore alla vita, tanto da farci sentire così potenti da uccidere qualsiasi persona per mantenerlo.

Perché questo egoismo? Perché tanto odio? Perché non possiamo capirci tra esseri umani?

Perdonare per me è stato come scaricare a terra uno zaino pesantissimo che non riuscivo più a portare. Quando scarichi quello zaino pieno di rabbia, di odio, di sete di vendetta, ti senti leggera e ha inizio una nuova vita. Una vita dove la rabbia, l’odio, la vendetta si trasformano in forza ed energia per un cammino di pace, di giustizia e di verità. Perché il perdono, guardate bene e, Silvia, dillo forte nei posti in cui andrai: il perdono non significa dimenticare e il perdono è, deve essere, accompagnato da un grande sentimento di amore. Il perdono non è una parola. Il perdono è un cammino».

Sono parole liberatrici queste di Brigida della Comunidad de Paz, che da 15 anni Operazione Colomba accompagna in Colombia, attraverso un presenza protettiva internazionale: camminiamo al loro fianco, su sentieri spesso difficili. Rifiutando l’uso di qualsiasi arma, hanno fatto della solidarietà internazionale e della presenza di gruppi internazionali che fungono da deterrenti all’uso della violenza, la loro strategia di protezione. Indossiamo una maglia arancione per essere maggiormente riconoscibili.

Questo piccolo gruppo di contadini è ubicato in una zona geostrategica dell’intero continente sudamericano, conosciuta come il miglior angolo dell’America Latina. Ricca di acqua, petrolio, oro e carbone la regione vanta terreni ricchissimi di biodiversità. È difficile tramettere il “fascino” che esercitano queste persone che sfidano un modello di vita distruttivo (estrattivismo) per costruire un mondo alternativo. È comunità che resiste nel mezzo di una realtà, determinata da pratiche  illegali necessarie a mantenere il potere in un mondo globalizzato. Non sono discorsi teorici.

Nonostante le più di 300 persone uccise, queste persone esistono e resistono. Hanno saputo trasformare il dolore in speranza.

È difficile tramettere il “fascino” che esercitano queste persone che sfidano la morte, la violenza, la sofferenza in nome dei più nobili valori. Sfidare un modello di vita distruttivo per costruire un mondo alternativo, tutto questo in mezzo a continui massacri. Io sento di essere solamente una testimone dell’eroismo di queste resistenze civili nonviolente.

Queste non sono semplici parole. Chi entra in contatto con la Comunidad de Paz de San José de Apartadó ne rimane segnato dalle azioni concrete della loro esistenza e resistenza: nella Verità nella Giustizia, nell’Amore e nella Libertà, così come Papa Roncalli ha declinato la Pace nella sua enciclica “Pacem in terris”.

per sapere di più  operazione.colomba@apg23.org

www.operazionecolomba.it

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons