No a guerra, terrorismo e ingiustizia

Alle otto e mezzo di sera i freni non funzionano più, e un’ondata di abbracci travolge i più di 5 mila partecipanti riuniti sul Katschhof, la piazza dietro il municipio di Aquisgrana. E non si ferma neanche davanti ai poliziotti in civile che proteggevano l’entrata dei vip. 450 rappresentanti di tante chiese e delle grandi religioni del mondo, uomini e donne di 58 nazioni, cercano parole e gesti per esprimere alle persone che le circondano la loro pronta decisione per la pace. Le strette di mano formali, “alla tedesca”, sono destinate al fallimento. Senz’altro questo saluto, che la sera del 9 settembre pone termine al 17° Incontro mondiale delle religioni per la pace, è anche un momento di esplosione di sentimenti: nostalgia per la pace, commozione per l’immagine d’unità manifestata dallereligioni, parole emozionanti nell’appello finale. E si svela il segreto dell’incontro: il vero dialogo ha luogo soltanto lì dove è preparato, accompagnato e impregnato dal rispetto e dall’amicizia. È su questa pianta che poi matura il frutto della pace. Preparare il terreno per questa pianta – come sottolinea il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi – è un lavoro assai faticoso. Da 17 anni gli oltre 40 mila membri in più di sessanta paesi del movimento mettono mano all’aratro del dialogo interreligioso. Alla base c’è da sempre la convinzione che la ormai storica giornata per la pace ad Assisi del 1986 non deve rimanere un momento isolato. Assieme ad amici delle diverse religioni, la Comunità di Sant’Egidio, da allora, ripete annualmente questo incontro, con un interesse pubblico crescente e un continuo aumento dei partecipanti. Dopo Roma, Malta, Varsavia, Lovanio, Lisbona, Bucarest e Palermo, il cammino li ha portati ad Aquisgrana, quale cuore dell’Europa, come la descrive Klaus Reder, responsabile della Comunità di Sant’Egidio in Germania. Situata nel cuneo esistente tra Germania, Belgio e Olanda, la città si trova in un punto cruciale. Come città di Carlo Magno, costituisce anche un punto di riferimento importante nell’intreccio delle radici del continente, il quale, attraverso il lavoro per la costituzione dell’Unione europea, si trova nuovamente su un cammino di autocoscienza. Compagno attento in questo percorso da Assisi ad Aquisgrana, è stato ed è ancora Giovanni Paolo II, che lo conferma non solo mandando il card. Etchegaray come suo delegato personale, ma anche con un messaggio di straordinaria simpatia e condivisione. “In un mondo diviso, che sempre più spinge verso separazione e particolarismi – così dice il papa -, c’è urgente bisogno di unità. Le genti di religione e culture diverse sono chiamate a scoprire la via dell’incontro e del dialogo”. Ciò non significa, secondo il papa, uniformità. Ma la pace non viene costruita nella mutua ignoranza. “Nel dialogo e nell’incontro ” il papa individua la forza dell’incontro di Aquisgrana. “Tutti, vedendovi, possono dire che su questa strada la pace tra i popoli non è un’utopia remota”. Un compito prevalente in questo cammino egli lo individua più che mai nella testimonianza della cristianità unita. “Sia questo terzo millennio il tempo dell’unione attorno all’unico Signore – ammonisce i rappresentanti delle chiese -. Non è più sopportabile lo scandalo della divisione: è un “no” ripetuto a Dio e alla pace”. Giovanni Paolo II invita poi i rappresentanti delle religioni mondiali a “intensificare un dialogo di pace: alzando lo sguardo verso il padre di tutti i popoli, riconosceremo che le differenze non ci spingono allo scontro ma al rispetto, alla leale collaborazione e all’edificazione della pace”. Dialogo e incontro – come li descrive il papa – formano gli elementi centrali nel programma del meeting di Aquisgrana. Guardando solo superficialmente, si trattava di forum e di tavole rotonde, come avviene in tanti altri convegni. “Ciò che distingue il nostro incontro – conferma Klaus Reder – è il fatto che qui non si preparano delle dichiarazioni ufficiali “. I partecipanti non sono perciò sotto la pressione del dover redigere formule ufficiali. Ma la realtà va al di là. Perché nei trenta forum si nota come tra gli intellettuali e i capi religiosi convenuti vi sia un rapporto personale e amichevole. Amicizia è in effetti la parola magica di questo convegno. Un esempio significativo è l’incontro – atteso con massima attenzione dagli osservatori – tra la curia romana e il patriarcato di Mosca. Tra le due chiese da tempo il clima è freddo. Non sorprende il fatto che il card. Kasper sia presente. Il fatto però che fa sensazione è la partecipazione del metropolita Kyrill, in qualità di responsabile per l’ecumenismo e per tutti i rapporti esterni della Chiesa russo- ortodossa. Nel corso della tavola rotonda sul futuro dei rapporti cattolico-ortodossi, si registrano ancora delle recriminazioni. Ma, dopo la seduta pubblica, non pochi osservano il cordiale abbraccio tra Kyrill e Kasper. E il giorno seguente i due si sono incontrati per una lunga colazione di lavoro. Forse un primo segno di primavera nei rapporti tra Roma e Mosca. Tra le righe, si capisce quanto la Comunità di Sant’Egidio abbia investito in questo incontro. Il rappresentante del Patriarcato di Mosca – conosciuto per la sua sensibilità all’immagine della sua chiesa – non solo ha l’occasione di presentare la sua posizione nella sessione inaugurale, ma può anche indire una propria conferenza stampa. E già un anno e mezzo fa era stato invitato a predicare nella chiesa di Santa Maria in Trastevere, a Roma. Qualche mese fa, poi, ha partecipato a Terni, nella diocesi del vescovo Paglia, a un simposio sul ruolo dei poveri nella chiesa. Infine, è lo stesso Andrea Riccardi che non si stanca di sottolineare in ogni occasioni il primato ideale della Chiesa russa, mostrato grazie al grandissimo numero dei martiri del ventesimo secolo. È logico che, sulla base di tale sforzo, cresca fiducia e amicizia. In questo spazio di fiducia è poi possibile discutere degli argomenti più delicati – come ad esempio l’autocritica delle religioni, un dialogo sul futuro tra Israele e Palestina, un colloquio sulla convivenza tra musulmani e cristiani oppure il forum sulla situazione in Iraq. Nonostante il lavoro diplomatico, l’iniziativa non perde mai il fascino dell’improvvisazione. “Ci voleva un bel po’ di coraggio ad accettare tutti gli aiuti offertici, senza sapere se erano qualificati o no – ammette Klaus Reder -. Ma, incoraggiati dal nuovo libro di Andrea Riccardo, Dio non ha paura, abbiamo preso su di noi il rischio di lavorare anche con persone venute spontaneamente ad aiutarci”. Così quest’anno il meeting è veramente uscito a vita pubblica. Per quanto riguarda i temi salienti dell’edizione 2003, Reder individua tre grandi linee: l’affermazione del dialogo, lo sguardo sull’Europa e quello al Sud del mondo. “Con forza, in maniera impegnativa, scegliamo nuovamente la via difficile del dialogo in un mondo che sembra preferire lo scontro”, è scritto nell’appello solenne alla pace firmato in conclusione. È una frase che si oppone chiaramente alla tesi dello “scontro delle civiltà”. “L’arte del dialogo – così continua l’appello – annulla nel tempo le ragioni della paura, e toglie terreno all’ingiustizia che crea risentimento e violenza”. Il primo applauso dei 5 mila radunati sulla piazza Katschhof scoppia allorché l’appello dice: “Il nome di Dio è pace. Le religioni non giustificano mai l’odio e la violenza. Il fondamentalismo è la malattia infantile di tutte le religioni e tutte le culture”. L’Europa – ed ecco il secondo contenuto centrale del meeting – non deve cedere alla tentazione di guardare solo a sé stessa. “Ad Aquisgrana abbiamo sentito il bisogno di un’Europa capace di essere più aperta allo Spirito”, proclama l’appello finale, rispondendo a Régis Debray, ateo, il quale aveva invitato con urgenza le religioni a dare il loro contributo per una nuova etica sovranazionale. La prova di credibilità dell’integrazione europea – e ciò è il terzo fondamento di questo meeting – è l’Africa. È scritto nell’appello finale: “Abbiamo incontrato il dolore del Sud del mondo, delle guerre dimenticate, delle vittime del terrore e della paura che genera violenza” Abbiamo sentito il bisogno di un’Europa capace di vivere con il Sud del mondo”. L’amicizia e la solidarietà tra popoli e religioni è un sogno. Andrea Riccardi lo ammette nel suo discorso finale. È un sogno che richiede per la sua realizzazione un lavoro impegnativo, pazienza e tenacia. Consolante è però la costatazione che questo sognare “è il nostro modo di costruire un mondo migliore e più umano”.

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