Nigeria. Ragioni economiche dietro gli scontri

Mons. Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, parla del conflitto tra Fulani e Birom: scontro tra agricoltori e pastori più che tra musulmani e cristiani, come sottolinea invece gran parte della stampa italiana
NIgeria

Il 9 luglio, il quotidiano Avvenire e Vatican Insider de La Stampa di Torino hanno pubblicato stralci di un’intervista rilasciata da monsignor Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos e presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, sui nuovi fatti di sangue verificatisi lo scorso weekend nel Paese africano, ormai da tempo teatro di episodi sempre più frequenti e cruenti.
 
Il vescovo, che si trova a Roma per ritirare il premio “Archivio Disarmo – Colombe d’Oro per la Pace”, commentando la serie di violenze brutali e sanguinose, ha tenuto a precisare ancora una volta – lo aveva, infatti, chiarito in passato in più di un’occasione – che «il problema è economico». Ha spiegato, infatti, che «i pastori Fulani si sentono vittime di un’ingiustizia perché il loro bestiame è ucciso o rubato e non vengono risarciti delle perdite subite. Penso che la rabbia originata da questa situazione – ha affermato il vescovo – li spinga ad attaccare in questo modo terribile». È, quindi, chiaro che il problema non è religioso o, per lo meno, non solo tale, ma che «è originato dallo scontro tra agricoltori e pastori. È un vecchio problema che non è stato ancora risolto».
 
Ovviamente la questione è radicata anche nelle tensioni fra etnie, che restano tipiche del continente africano e, a questo proposito, mons. Kaigama precisa che «il problema è tra i Fulani e i Birom. Questi due gruppi etnici hanno dispute che durano da molto tempo. Tutti gli attacchi nei villaggi dell’area sono stati sempre concentrati su questi due gruppi. Non ci sono stati attacchi che hanno coinvolto altre tribù». Non manca, certo, la valenza religiosa legata al fatto, che «i Fulani sono in maggioranza musulmani, mentre i Birom sono in gran parte cristiani». Tuttavia, il vescovo nigeriano, ci tiene a precisare che, sebbene per questo motivo sia facile dare la lettura “musulmani attaccano cristiani”, oppure “cristiani attaccano musulmani”, il problema è essenzialmente economico ed etnico».
 
Il vescovo è in contatto costante con le autorità civili e la popolazione della sua diocesi e, per questo, ha potuto dichiarare nel corso dell’intervista che «il governatore dello Stato di Plateau era veramente rattristato e sconvolto per le morti e il livello di distruzione causato dagli attacchi. Egli è convinto che gli autori dei massacri non siano originari del posto ma vengano da fuori. Secondo il governatore, i Fulani dispongono di un network che va oltre la Nigeria ed è esteso ai Paesi vicini; inoltre gli aggressori sono dei mercenari provenienti da altrove, non sono Fulani residenti nello Stato. Diversi di loro poi indossavano uniformi militari. Non sappiamo quindi se fossero persone travestite da militari oppure se gli assalitori siano stati aiutati da veri soldati. Alla luce di queste rivelazioni non si possono escludere fattori politici, ma a mio avviso il problema principale rimane quello economico per spiegare queste violenze», conclude mons. Kaigama.
 
Sebbene gli organi di stampa italiani abbiano dato voce all’intervista di mons. Kaigama, non solo sul cartaceo o sulle edizioni online di quotidiani, ma anche con la messa in onda di una parte dell’intervista, come ha fatto il Tg2, continua, da parte dei media, la tendenza a dipingere le violenze che stanno allargandosi in Nigeria come fatti di intemperanza religiosa. Colpiva in questi giorni vedere il vescovo africano parlare di quanto abbiamo ampiamente descritto e, allo stesso tempo, leggere nella barra delle notizie di «scontri fra cristiani e musulmani» o di «nuove stragi di cristiani in Nigeria».
 
Mi chiedo quale sia la strategia mediatica dietro tali incongruenze, per altro davvero palesi, in questi ultimi due giorni. Uno spiraglio, mi pare, il fatto che una rete nazionale come il Tg2 abbia messo in onda l’intervista all’interessato. Resta la speranza che noi ascoltatori abbiamo colto le sue parole e il senso profondo che sta dietro di esse: un aiuto a non leggere avvenimenti semplicisticamente.
 

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