Nicola, cozze, kebab e coca cola

La riscoperta dell'icona universale di san Nicola nel film di Antonio Palumbo. Da Bari, di cui è patrono, alla città di Myra, odierna Turchia, dove era vescovo, al mondo intero  
San Nicola Foto Wikipedia

Babbo Natale chi? Quest’uomo con la barba bianca che porta i doni ai bambini buoni nella notte di Natale esiste o no? Desta sempre curiosità quell’aura magica che affascina i piccoli e che tiene sveglio il senso della meraviglia e del sogno, contro ogni discorso moralistico e razionale degli adulti e dei sapienti.

Allora Babbo Natale esiste? Da qualche tempo i baresi pensano di sì, riscoperto in San Nicola, patrono del capoluogo pugliese, accodandosi alla più longeva tradizione popolari nord europee che identificano il vescovo di Myra, in genere denominato “Santa Claus”, in quell’uomo generoso che porta doni, dolciumi soprattutto nella notte del 6 dicembre giorno della festa liturgica.

All’ombra del panciuto Babbo Natale, come è raffigurato nell’era consumistica, proprio san Nicola si sta riprendendo il suo spazio grazie alla tradizione che accomuna molti popoli. In una mescolanza di culture mediterranee e nordeuropee, tra confessione protestante e cattolica, tra fede e folklore, storia e leggenda, il patrono di Bari, a conferma del valore ecumenico e taumaturgico soprattutto nei confronti dei bambini (protagonisti di alcuni miracoli), lascia libera interpretazione e immaginazione.

Ad approfondire le mille sfaccettature del Santo che diventa Babbo Natale, o viceversa, è Antonio Palumbo, regista e protagonista del docu-film “Nicola, cozze, kebab coca-cola”, in gestazione per circa dieci anni. Ricevuto il sostegno dell’Apulia Film Commission e dell’ambasciata olandese, dopo le scene della festa patronale nel maggio barese, Palumbo ha potuto affrontare i viaggi per completare il film che dopo le prime proiezioni a Bari sta entrando nei cinema di Milano, Roma e dal prossimo anno anche in Turchia.

Incastrandosi tra le varie credenze attorno al santo vescovo vissuto tra il 200 e il 300 d.C., la trama è legata da innumerevoli curiosità legate alle usanze e alle tradizioni che tutt’oggi si vivono in alcuni nazioni che il regista ha visitato in occasione della festa di San Nicola a dicembre. Antonio, il protagonista, in una dimensione di “metacinema”, vaga per la sua città, Bari, alla ricerca di nuovi stimoli per lavorare al canovaccio di un nuovo film. Alcune persone frutto forse dei suoi ragionamenti e della sua immaginazione, lo invitano a non limitare la narrazione di San Nicola in salsa barese.

Il film è un itinerario nel fervore e nella passione di molte popolazioni europee, non solo legato al culto per la tradizione ortodossa in Russia. Il lungometraggio apre scrigni di curiosità; nelle sue differenti declinazioni di Sinteerklaas, Santa Claus, Papà Noel o Babbo Natale è atteso, addirittura come un’icona a tratti “pop”, esulando dai connotati devozionistici e religiosi. Il racconto, arricchito da interviste e interventi di sacerdoti e autorità istituzionali o cittadini che attorno a “Nicola” organizzano veri e propri eventi annuali per bambini, porta a galla feste e tradizioni che arricchiscono l’universalità di questa “icona”.

Così, dalla città di Nancy in Francia che festeggia il Santo vescovo per circa un mese a seguito di un evento storico del medioevo, si scoprirà un legame saldo con quell’uomo saggio che porta doni e allegria ai bambini in Belgio e in Olanda dove “Sinterklass” arriva da un battello e porta in piazza migliaia di persone tra cortei, giostre, danze, travestimenti. Anche i programmi e i notiziari televisivi prestano attenzione ai contenuti per non spegnere né l’entusiasmo, né il senso di meraviglia dei più piccoli. La città di Amsterdam prepara la festa di San Nicola con un imponente apparato organizzativo rendendola tra gli appuntamenti irrinunciabili degli olandesi.

Da questa terra la tradizione migra negli Stati Uniti, in cui Sinterklaas si adombra per la nascita di Babbo Natale con scopi di vero e proprio marketing. Il viaggio del regista barese si conclude in Turchia a Demre, l’attuale Myra, nei luoghi in cui i 62 baresi si impossessarono delle reliquie del vescovo. Palumbo con leggerezza e ironia mette in pellicola una serie di curiosità e chicche che oltre a regalare buon umore invita a mantenere sempre uno sguardo di condivisione sui patrimoni che per quanto possano essere identificativi di una cultura, restano universali. E accomunano a dispetto di ogni pregiudizio.

Il regista barese, trapiantato da anni a Roma, a tal proposito afferma: «Insieme al film sono aumentate le consapevolezze personali sulla forza che può avere una tradizione sul senso di appartenenze che in qualche modo tiene legato  alle proprie origini anche vivendo fuori. Conoscere, condividere arricchisce» – continua il regista che insegna cinema all’Accademia delle belle Arti di Bari e al Centro di Formazione Cinematografico Nazionale – «Nel nome di San Nicola ho sperimentato l’unione dei popoli, oltre la bellezza di condivide la cultura. Durante i set del film ho conosciuto amici e persone che pensavo così lontane dalla mia cultura eppure sono riuscito a sentirmi a casa nei luoghi che non conoscevo anche grazie a San Nicola». Questo capacità di lasciarsi accogliere tiene sempre acceso un genuino senso di stupore che insaporisce le convinzioni attorno alle realtà personali, sociali, storiche, creative, popolari, quelle che danno “consistenza” all’esistenza.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons