Nero è l’albero dei ricordi…

Anche questa volta, in Nero è l’albero dei ricordi, azzurra l’aria (Einaudi), è la famiglia al centro del dramma: madre e figlie in Toscana nella casa delle vacanze, padre e figlio a Roma per lavoro e in mezzo la guerra che divampa e devasta sentimenti, affetti, comportamenti, nello sconvolgimento totale dell’assetto ambientale. Gli alleati avanzano dal Sud e i tedeschi iniziano le cruenti rappresaglie, mentre molti italiani s’imboscano sulle montagne e imbracciano il fucile. Un’ora tragica per l’Italia, il cui ricordo è segnato dalla paura e dalla morte, dalle carneficine, dalla persecuzione degli ebrei. Sullo sfondo, una natura straordinariamente bella che assiste muta allo scempio assurdo di uomini e cose. Rosetta Loy ha avuto sempre un’attenzione particolare per quel periodo storico che la vide giovane protagonista insieme alla sua famiglia e, davanti all’assurdo del tempo presente ancora infiammato da guerre violente e tragiche, ci invita a rivivere quel nostro passato non troppo lontano, nella segreta speranza che il ricordo di quell’albero nero apra i nostri cuori ad una dimensione vitale di costruttori di pace. Protagonisti assoluti del romanzo sono i giovani, segnati da spinte ideali ma anche da contraddizioni, quelli che sognano un futuro ricco di aspettative e lo vedono improvvisamente compromesso. C’è chi oppone una resistenza morale e, pur caricandosi del peso della guerra, continua a guardare il futuro con ottimismo: è il caso di Marcello, sottotenente in Libia; chi invece come Lucia, persa dietro il fascino del giovane attendente tedesco, è travolta dal vortice impazzito della rappresaglia. C’è pure chi, come Ludovico, passa indenne e, in attesa che la nuvola nera scompaia, si affaccia alla nuova vita con avventuroso dinamismo. La vita ha uno scatto di rivalsa e si allontana con decisione dal grumo vischioso del passato: Marcello si concentra sui ricordi perché sarebbe tremendo dimenticare qualcuno, anche se lo ha conosciuto solo per poche ore. Attraverso la finestra arrivano le grida e i canti, il suono di un sassofono, lui deve avere il cervello bacato per perdere il suo tempo appresso ai morti adesso che comincia il nuovo tempo dei vivi e tutti si abbracciano come fratelli. Le ragazze si mostrano disponibili, per una sera, a giocare una partita eccezionale. Ma le macerie sono ancora nelle strade, e le ferite dentro l’uomo; soprattutto negli adulti, quelli che sono stati in primo piano in quegli anni, ora segnati dalla tristezza di una vita trafitta, dai beni perduti, dagli affetti sconvolti, da un presente indecifrabile. Oltre alla ricostruzione materiale che lentamente s’avvia, s’affaccia, allora, nei sopravvissuti, un senso nuovo di consapevolezza e responsabilità, che passa per l’accettazione profonda del dolore vissuto, senza la quale ogni scelta di pace è sempre seriamente compromessa. A tuo conforto – diceva ancora Marcello – convinciti che con questa guerra e la sconfitta del fascismo, e quella prossima, fatale, del nazismo, il mondo sarà diverso. La sofferenza è stata troppa, non ha risparmiato né vinti né vincitori… Tu, io siamo diversi. Ogni giorno devi dirti: io sono nato da quell’esperienza, e sentirti responsabile di ogni scelta. Con una lucida e pacata narrazione, ricca di poesia, Rosetta Loy ci lascia entrare, attraverso l’interiorità dei suoi personaggi, nel cuore della Storia. E, come ne La bicicletta e ne Le strade di polvere, anche in quest’ultimo suo romanzo è l’onesta coscienza, nel proprio vissuto di dolore e di speranza, che può vincere la spietata durezza della violenza.

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