Nella Terra del Fuoco

Pochi luoghi del nostro pianeta conservano intatti il fascino e la bellezza selvaggia della miriade di isole e promontori che frastagliano in mille guise l’estremo lembo australe della Patagonia. È la Terra del Fuoco, terra di picchi e di ghiacciai, di boschi e di pianori brulli, di fiordi tortuosi e promontori inaccessibili. Regno dei venti e delle piogge, dei pinguini, leoni ed elefanti marini e di innumerevoli altre specie animali, dove a squarci imprevisti di idilliaca dolcezza si alternano visioni maestose di desolazioni e silenzi tali da incutere un sacro timore in chi vi mette piede. Sono evidenti in certe zone, data l’origine vulcanica del suolo, le tracce di tremende convulsioni plutoniche che sembrano lì lì avvenute e invece risalgono a milioni di anni fa; mentre la sensazione di un ineluttabile, lento disgregarsi è data, lungo le coste, dalla millenaria azione distruttrice di un mare raramente placato, come attorno a quel Capo Horn (qui Cabo de Hornos) tanto temuto dai naviganti di tutti i tempi e tuttora da non affrontare alla leggera. Ma il travaglio di questa terra ai confini del mondo non è espresso soltanto dal suo aspetto geologico. Come dimenticare infatti l’infelice sorte delle popolazioni in cui i primi europei si imbatterono in queste plaghe: quegli indios decimati dalle malattie importate dall’uomo bianco, dallo sterminio da lui operato della loro principale risorsa, i grandi mammiferi marini, e soprattutto dalle stragi di cui egli ancora si rese responsabile fino ad epoca recente? Fu un vero bagno di sangue, vanamente contrastato dall’azione dei missionari e di pochi altri, che annientò una cultura le cui testimonianze si possono oggi trovare più che altro in qualche museo etnologico del paese. Della terra fuegina hanno scritto viaggiatori, scienziati e romanzieri: dal Darwin della crociera scientifica bordo del Beagle, al geografo, scalatore e fotografo padre De Agostini; dal Salgari della Stella dell’Auracanìa, al Bruce Chatwin de In Patagonia: ed è stato appunto questo vademecum delle giovani generazioni nell’ultimo ventennio del Novecento a incrementare più di altri il flusso turistico nella regione fuegina, fino diventare una moda: per fortuna, mantenerlo entro limiti accettabili per la salvaguardia ambientale giocano il difficile accesso e le condizioni meteorologiche più spesso inclementi che caratterizzano questi luoghi remoti. Ma il vero cantore da poco scomparso, l’interprete della grandiosità, delle asprezze e delle segrete attrattive di questa terra è Francisco Co- loane, il grande vecchio della letteratura cilena. Nei suoi romanzi e racconti (tradotti in Italia da Guanda), natura e uomo accomunati da una identica sorte di dolore e di (poca) speranza sono evocati a comporre storie di struggente malinconia e poesia, tutte tratte dal suo vissuto. Sì, perché Coloane non ha soggiornato sulla Terra del Fuoco da occasionale viaggiatore. Prima di dedicarsi alla attività di scrittore, ha trascorso qui l’intera giovinezza facendo il marinaio e il pescatore di balene, il pastore e caposquadra di hacienda, e partecipando alle ricerche petrolifere nello Stretto di Magellano. Durante tale avventurosa esistenza, ha fatto in tempo ad essere anche testimone della spietata caccia condotta dagli uomini bianchi contro gli indios ona, ognuno dei quali ucciso veniva compensato con una sterlina: è quanto risulta appunto leggendo i suoi racconti e soprattutto Cacciatori di indios. L’ultimo suo libro, Naufragi, scritto a più di novant’anni, è il suo con- gedo da queste regioni dell’estremo Sud del mondo dove le piogge torrenziali, i cieli apocalittici e improvvisamente luminosi, gli stretti innevati, le muraglie vertiginose, i ghiacciai fantasmagorici hanno sedotto tanti ansiosi di avventure, di gloria, o di imprese memorabili, persone lanciate alla conquista di un sogno. Resoconto dei più tragici ed emozionanti naufragi registrati sulle frastagliate coste della Terra del Fuoco dal 1520 (anno in cui fu scoperta da Magellano) fino ai nostri giorni, questo libro che sfugge ad ogni classificazione si conclude con una frase che suona come un lamento: Rimane aperta una questione. Dove sono gli abitanti della Terra del Fuoco che avevano salutato i primi navigatori, quegli audaci esploratori? Cosa ne è oggi della cultura degli ona, yámana, alacalufe? È a loro che penso, conludendo questa antologia di naufragi, a loro che sono state vittime di un immenso, terribile naufragio sociale.

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