Nel segno della profezia

Quando risuonò l'invito di Giovanni Paolo II: "Aprite le porte a Cristo!", s'intuì che il soffio dello Spirito aveva scelto di parlare alla chiesa e all'umanità attraverso questo papa venuto da lontano
Il buon giorno si vede dal mattino, recita un antico detto proverbiale. Quando, nella Messa in piazza San Pietro con cui iniziava il suo ministero, risuonò quell’invito vibrante e pieno di confidenza di Giovanni Paolo II: "Aprite le porte a Cristo!", s’intuì che il soffio dello Spirito aveva scelto di parlare alla chiesa e all’umanità attraverso questo papa venuto da lontano. Così è stato. Questo lungo e straordinario pontificato è stato profetico da allora sino ad oggi. Profeta, infatti, è colui che per il dono che Dio gli concede legge dentro la storia i segni di Dio e porta al mondo la sua parola di luce e di vita.

 

Il Vaticano II stava diventando carne e sangue del popolo di Dio, grazie all’illuminata e prudente guida di Paolo VI, ma aveva ancora da esprimere molto della sua grande carica di rinnovamento, in un mondo attraversato da radicali e drammatiche trasformazioni. E all’orizzonte si stagliava l’appuntamento, convenzionale quanto si vuole, ma quanto mai significativo del giubileo del 2000. Venti secoli di storia cristiana intessuti di luci intense ma anche di ombre dolorose. Seguendo il Concilio, accolto come bussola che indica la rotta, questo papa non si è stancato di farsi in- terprete, in ogni forma e occasione, di "ciò che lo Spirito dice alla chiesa ", secondo le parole dell’Apocalisse.

 

Per questo, molte volte ci ha sorpreso e ha tracciato davanti a noi vie inedite e ancora da esplorare. Ha cominciato, lui, il primo papa slavo, a dirci che il cristianesimo deve imparare a respirare coi suoi due polmoni, quello dell’Occidente e quello dell’Oriente. Non ha avuto timore di affermare che, nella vita e nella missione della chiesa, il principio petrino e quello mariano, il ministero dei vescovi e il carisma dei movimenti spirituali sono coessenziali. Ha voluto aprire la porta santa dell’anno giubilare con a fianco i rappresentanti delle Chiese ortodosse e anglicane, dichiarando nell’enciclica Ut unum sint la sua disponibilità a rivedere l’esercizio del suo ministero per renderlo più conforme all’intenzione originaria di Gesù, e chiedendo perdono per i peccati del passato.

 

E come non ricordare i passi di un papa che, per la prima volta nella storia, varcano le soglie di una sinagoga e di una moschea? e la sosta in preghiera di fronte al Muro del pianto, a Gerusalemme? per non dire di quell’evento davvero singolare, in 2000 anni di cristianesimo, che ha visto radunati ad Assisi, in preghiera per la pace, i rappresentati delle chiese cristiane e delle tradizioni religiose dell’umanità? Ciò che i padri avevano scritto nei documenti del Concilio, col gesto di Giovanni Paolo II è diventato un’immagine leggibile per tutti. "L’uomo è la via di Cristo". Ecco un altro slogan che compendia un ulteriore messaggio che Giovanni Paolo II ha tratto dal Concilio. L’uomo rivelato a sé stesso da Gesù: in tutta la bellezza e ricchezza della sua vocazione, secondo il disegno d’amore del Padre.

 

Se è crollato il muro di Berlino – e la storia dirà quanto ciò sia dovuto alla parola e all’azione di questo papa – è a motivo dell’errore antropologico che viziava l’ideologia comunista. Ma anche quella capitalistica, e per la stessa ragione, è stata ed è denunciata con pari forza e nettezza da Giovanni Paolo II. Come nessuno, egli ha alzato la voce in difesa della pace e dei diritti dei poveri, facendosi interprete autorevole e convinto, anche di recente nella tragica guerra dell’Iraq, della coscienza universale della famiglia umana. Ma c’è un’ultima e ancor più intensa profezia di cui oggi Giovanni Paolo II si fa testimone: quella della speranza. Di fronte a un’Europa che vive una crisi profonda e disperatamente tranquilla della sua identità.

 

Di fronte al farsi avanti minaccioso dei fondamentalismi non solo religiosi, ma economici e tecnocratici, che sembrano far dileguare come neve al sole il desiderio sincero e l’impegno del dialogo per imporre un presunto scontro di civiltà. Di fronte a una chiesa che stenta a prendere il largo, aperta al soffio dello Spirito. Senza più bisogno di parole e, si direbbe, di grandi gesti, il papa testimonia alla chiesa e al mondo, innanzi tutto ai giovani, il paradosso del Vangelo: "Quando sono debole, è allora che sono forte". Non è un caso che le pagine più intensamente profetiche del suo pontificato, Giovanni Paolo II le consegni oggi al mondo, a partire dalla sua esperienza sofferta di vita e di fede.

 

Affidandosi a Dio per le mani di colei che, prima e più di tutti, è vissuta solo di fede e di speranza: Maria. Non è proprio questo, totus tuus, il motto del suo pontificato? In quel manifesto per il terzo millennio che è la Novo millennio ineunte, guardando a Maria, Giovanni Paolo II indica una strada: quella della comunione, dell’incontro con l’altro, della fraternità universale. Secondo la misura di Gesù. In tutti i luoghi dell’esistenza. Perché l’uomo non può ritrovarsi se non attraverso il dono sincero di sé.

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