Nel principe vince la scena

Èacquatico Il principe costante di Pier’alli. Il giovanile testo barocco di Calderon de la Barca viene immerso dal regista e scenografo fiorentino in una grande piscina d’acqua. Elemento fluido, riflettente, cangiante. Come i destini dei due protagonisti: il principe cristiano Fernando e il re mussulmano Fez. Uomini appartenenti a culture differenti. I loro mondi affiorano e sprofondano da un palcoscenico a due facce – al centro della vasca – che si piega diventando giardino, prigione, reggia, luogo di battaglia. Attorno – fra nebbie sospese, squarci di luci, apparizioni di bandiere e di cavalli moltiplicati da specchi – una passerella quadrata, a creare una drammaturgia dello spazio di raffinata fattura, cara al regista, tornato alla prosa dopo vent’anni di lirica. La macchina scenica (nel costoso spettacolo prodotto dal Metastasio di Prato) predomina e suscita meraviglia. Ma svela anche il proprio limite, poiché fagogita i versi e il loro senso lasciandone poca traccia nella memoria. La sensazione è di un raffreddamento dell’incandescente testo, seppur dentro un paesaggio figurativo stupefacente, e dai costumi bellissimi. E dire che, in tempi di riscoperta del dialogo, le tematiche del Principe costante sarebbero di grande attualità trattando del confronto – e non solo – tra due culture. Vi si narra, infatti, dell’infante Fernando, fratello del re di Portogallo, giunto da vincitore in Africa, poi catturato e ridotto in schiavitù dai mori per aver rifiutato, in cambio della libertà, di cedere la città di Ceuta. Perché – risponde il principe – “Ceuta è di Dio”. Attraverso il patimento, la vessazione, e infine la morte, perseguirà una fedeltà alla propria fede che lo renderà profondamente libero. La lunga frequentazione di Pier’alli col teatro d’opera influenza l’allestimento col suo andamento da melodramma, di cui risente anche la recitazione che, a tratti, si fa canto. Il tutto avvolto dalle musiche computerizzate di Giorgio Battistelli: una liquida e rumorosa partitura di grande effetto. Primeggia, fra lo stuolo d’interpreti, la superba prova del re moro di Franco Di Francescantonio, voce potente e presenza incisiva, nella sua inflessibile rinuncia alla pietà verso il principe, cui dà crescente intensità Roberto Trifirò. Maurizio Buscarino

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