Natale: bisogno di sperare

Articolo

Le luci della festa, la sosta in famiglia e il clima natalizio daranno certamente un colpo d’ala all’umore del Paese. Ce n’è bisogno. Alla fine di questo 2007 tanta gente ha il fiato corto. In giro ci s’imbatte sovente in volti delusi. Le persone benestanti sono ormai alla saturazione delle esigenze. Le altre, con redditi familiari fermi o in declino, hanno dovuto rivedere consumi e progetti, costretti ad una ulteriore, forzata sobrietà. Ma diciamoci la verità: non bastano i fattori economici, finanziari e anche sociali a spiegare il diffuso senso di insoddisfazione. Non dipende del tutto nemmeno da una condizione d’insicurezza, dovuta ai tanti reati, incuneatasi in tante esistenze. Sappiamo che la rappresentazione della realtà che i mass media ci trasmettono non è la realtà, non è il Paese reale, molto più positivo. Tuttavia i notiziari, con il loro carico di violenza, ci condizionano sino a farci sentire impotenti di fronte al peggio che non sembra avere fine. Vero tutto. Eppure, la situazione non era meno problematica un anno fa. Quello che appare mutato è la percezione del presente, di un adesso diventato faticoso e greve. Cosa è successo? Gli esperti si interrogano. E le analisi non sono unanimi. È certo, comunque, che la logica dell’individualismo portata sino all’esasperazione (anche nelle istituzioni) ha prodotto i suoi effetti: non ci sono più processi e progetti della società italiana nel suo complesso, tanto meno sogni condivisi, che possono motivare l’oggi. Non c’è più spazio per passioni coinvolgenti; tutto è stato occupato da disgreganti impulsi individuali. Per di più, il contesto di Paese vecchio per l’anagrafe non aiuta. Prevalgono i ricordi alle speranze. Anzi, alle aspettative. Perché anche questo è successo in tante persone, che le speranze si sono stemperate in più pragmatiche aspettative. Sperare è un’operazione impegnativa. Di più, è un esercizio rivoluzionario, temuto dalla cultura dominante, osteggiato dai poteri forti. Sperare significa infatti avere una grande meta, pregustare il futuro. E vuol dire pure sapere di poter contare lì dove si è, di poter decidere sulla base del dettato della propria fede (per chi crede) e della propria libera e solida coscienza. Sperare, insomma, è una faccenda tremendamente seria e, allo stesso tempo, decisamente gioiosa: implica ardimento, condivisione, altruismo, inclusione; stimola a seminare nel presente fatti carichi di un domani migliore. Non ci si salva da soli, ma nemmeno si può sperare da soli. Secondo le più recenti riflessioni dei sociologi, il futuro dipenderà dalle minoranze vitali, dalle comunità vive presenti nei diversi ambiti e dalla loro capacità di collegarsi reciprocamente e trascinare il Paese verso uno sviluppo anche etico. C’è bisogno di sperare. Natale può offrire un’immediata opportunità per tutti quanti: giovani, adulti e anziani. Ed è di aiuto ricercare lungo l’anno ormai al termine motivi di fiducia nel futuro. Abbiamo così coinvolto Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica sino al 2006, per una valutazione sul nostro Paese, mons. João Braz de Aviz, arcivescovo di Brasilia, per farci segnalare l’avvenimento da lui ritenuto più significativo per l’area latinoamericana. Infine, un giro nella politica internazionale con il diplomatico Pasquale Ferrara, capo ufficio stampa del ministero degli Esteri e portavoce del ministro. CARLO AZEGLIO CIAMPI L’Italia della gente è il nerbo del Paese Passare in rassegna gli avvenimenti dell’anno che sta per concludersi implica necessariamente riandare con la mente alle notizie di stampa, a quelle trasmesse dai telegiornali. Una siffatta operazione di recupero della memoria credo precluderebbe, o quasi, la possibilità di spendere per il futuro una parola di fiducia e di speranza. È compito dei media raccontare la società e il mondo attraverso i fatti che fanno notizia, cioè, soprattutto, le violenze, le guerre, le sopraffazioni; per non dire della cronaca che quasi quotidianamente ci offre un amaro piatto di efferatezze, dove stentiamo a ritrovare tracce di umanità. L’evidenza è questa, censurarla non la migliorerebbe. Però la realtà non è solo questa: ciascuno di noi può recare più di una testimonianza a sostegno di questa affermazione. Per quel che mi riguarda non dimentico l’Italia che ho conosciuto nel corso del settennato presidenziale, percorrendola da Nord a Sud nel mio viaggio nelle 100 province. Accanto al cosiddetto Paese ufficiale, ho avvicinato, mi sono intrattenuto con tanti cittadini comuni: quelli che non fanno notizia; che non sono mossi da altra ambizione che non sia far bene il proprio lavoro, a casa, a scuola, in fabbrica, in ufficio; educare i figli all’onestà, al rispetto di sé stessi e degli altri; che, se necessario, anche al costo di qualche rinuncia, non fanno mancare assistenza e calore ai propri anziani. Queste persone di straordinaria normalità sovente trovano il tempo di dare una mano agli altri nelle tante iniziative di volontariato, religioso e laico. Questa Italia minore, ma non minoritaria è il nerbo del nostro Paese. Ripenso a essa quando la cronaca quotidiana ce ne mostra il volto alterato dalle divisioni, dalle violenze, dal disprezzo dell’altro. Se fosse possibile illuminare il cono d’ombra che oscura questa Italia forse anche la vita pubblica potrebbe giovarsene. La politica, ad esempio, se essa fosse in grado di raggiungere questa Italia, di comprenderne e interpretarne le esigenze, le aspirazioni, potrebbe orientare più proficuamente la sua azione, senza smarrirsi in astratte quanto sterili contrapposizioni. I cittadini, da parte loro, sentendosi oggetto di interesse genuino, sincero, corrisponderebbero con crescente seguito, in quanto divenuti protagonisti di vicende che essi stessi concorrono a determinare e non più spettatori di uno spettacolo che non appartiene loro. Tra governati e governanti si instaurerebbe, un circolo virtuoso. Affido a queste semplici riflessioni l’augurio per il nuovo anno. MONS. JOÃO BRAZ DE AVIZ Imparare l’esperienza comunitaria La V Conferenza dell’episcopato latinoamericano e caraibico avvenuta ad Aparecida in Brasile rimarrà nella storia dei cattolici del continente come un evento ecclesiale di grande peso. Ho avuto l’opportunità di partecipare in prima persona, come uno dei 140 vescovi delegati delle 22 conferenze episcopali. In un continente travagliato da enormi problemi di ogni tipo, la Chiesa cattolica, che conserva una grande credibilità in mezzo ai popoli latino-americani, ha voluto ascoltare con profonda attenzione l’uomo e la donna immersi nell’attuale cultura globalizzata e offrire loro le luci indispensabili di cui è depositaria nella sua ricca esperienza di fede. La presenza di Benedetto XVI all’apertura della conferenza ha portato ai delegati una grande gioia e ha dato un saggio indirizzo e molta autenticità alla riflessione per discernere i segnali che provengono dalla cultura odierna in modo che l’annuncio del Vangelo arrivi come risposta vitale a tutti. Davanti all’ individualismo che si è radicato anche nella nostra cultura, i vescovi latinoamericani propongono um cammino in senso inverso: ritrovare Dio-Amore, Trinità santissima, fonte dell’amore, per poter ricostruire i rapporti compromessi con Dio, con l’uomo e la donna e con il mondo. Per questo siamo tutti chiamati a imparare in modo nuovo e convincente l’esperienza di vita comunitaria che si riscontra in modo ricco nella prima comunità cristiana. In questa direzione ci porterà anche la missione continentale che le Chiese dell’America Latina e dei Caraibi stanno ora preparando. PASQUALE FERRARA, DIPLOMATICO Nuova fiducia negli organismi internazionali L’elemento di maggior novità per le relazioni internazionali nel 2007 è forse la tendenza a ritornare al multilateralismo, a dare cioè maggior fiducia agli organismi internazionali. A cominciare proprio dall’Iraq, dove si era consumato il dramma di una scelta militare e unilaterale, di una coalizione dei volenterosi. Nel 2007 l’Onu ha infatti accentuato la sua presenza in Iraq, perché è sempre più chiaro che anche la stabilizzazione dell’Iraq e il processo di riconciliazione nazionale hanno bisogno di un forte impulso e sostegno internazionale. Mi pare poi che un altro segnale positivo sia emerso sul piano mondiale, e cioè che le questioni non si risolvono per via militare. A questo riguardo, l’esempio della Corea del Nord, che ha rinunciato al suo programma nucleare militare grazie a serrati negoziati che hanno coinvolto anche Corea del Sud, Stati Uniti, Cina, Giappone e Russia, mi sembra importante anche perché può essere un modello anche in altri scenari di crisi, come l’Iran. Su un altro fronte, quello dell’Afghanistan, i segnali sono contraddittori, ma sembra che si affermi l’idea che la soluzione non può che essere politica. Karzai ha avuto grande coraggio nel lanciare un dialogo nazionale, che riguarda anche i talebani, a condizione che rinuncino alla violenza e riconoscano la costituzione. Su un altro scacchiere, qualcosa si muove in senso positivo sull’annosa (e dimenticata) questione del Sahara occidentale. Marocco e Algeria hanno votato infatti assieme una risoluzione delle Nazioni Unite in favore di negoziati diretti tra Rabat ed il Fronte Polisario. Per restare in Africa, è positivo che, pur tra perduranti difficoltà, il Sudan abbia accettato il dispiegamento di una missione ibrida di mantenimento della pace (Nazioni Unite e Unione africana) in Darfur. Ma forse le due notizie più incoraggianti sono arrivate entrambe nell’ultimo trimestre. La prima, simbolica ma di indubbio contenuto politico, è l’assegnazione del premio Nobel per la pace ad Al Gore e a Rajendra K. Pachauri, dell’Ipcc, a testimonianza che oggi il rispetto dell’ambiente è uno dei nuovi nomi della pace. La seconda, carica di promesse, viene da Annapolis, dove si è svolta la conferenza internazionale convocata dagli Stati Uniti sul problema israelo-palestinese. Per la prima volta, la creazione di uno Stato palestinese è posta come preciso obiettivo della comunità internazionale, con una scadenza alla fine del 2008. Speriamo di risentirci tra un anno con questa ulteriore buona notizia!

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons