Napoli sul grande schermo, tra bellezza e tormento

Tanti i film sul capoluogo campano e sull'hinterland presenti nelle sale: da Ammore e malavita dei Manetti Bros a Veleno di Diego Olivares, da L’equilibrio di Vincenzo Marra a La gatta cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone.

Quanta Napoli, al cinema, in questo inizio di autunno. Che lotta per le sue strade, lungo il suo golfo, intorno al suo hinterland violentato. Pugni infiniti tra bellezza e orrore, tra individui che combattono per il bene, per la speranza, per un futuro, per il prossimo, e altri individui, al contrario, che uccidono ciò per cui combattono i primi, in nome di un animale interesse personale, del proprio penoso e avido arricchimento materiale. Perché, dalle parti di Napoli, questo eterno contrasto tra abisso e meraviglia prende fuoco e si amplifica così nettamente? Perché esplode sempre con tanta forza?

Non c’entra tanto il divertentissimo Ammore e malavita dei Manetti Bros, in concorso a Venezia e in uscita il 5 ottobre prossimo, anche se il suo titolo sintetizza alla perfezione il feroce bipolarismo di cui stiamo parlando: l’amore da una parte, bellezza per eccellenza, e una vita spesa per il male dall’altra, con la scelta peggiore, il peccato più grande. Quello dei Manetti, seppur geniale e tutto da gustare, da goderselo per le mille trovate e la sua robusta vitalità, è un film leggero, di intelligente intrattenimento, che gioca con gli stereotipi in modo mirabile, compreso il cosiddetto “gomorrismo”.

È un film, forse, che mostra la miracolosa energia di cui è capace la gente di questo territorio, perché è pieno di musica, di colore e di forza esplosiva. Ma non è un film che entra con serietà nel cortocircuito tra miseria e nobiltà, tra luce e buio del capoluogo campano e dei suoi dintorni. Ci sono altri film – anche loro presentati di recente a Venezia in diverse sezioni – che guardano in faccia l’antico e doloroso dramma con decisione, tutti lavori interessantissimi, tutti di autori napoletani. Film “da dentro”, di chi conosce bene l’argomento.

Il primo è Veleno di Diego Olivares, che undici anni dopo I cinghiali di Portici (anche quello notevole), torna nella sua terra per affrontare uno degli aspetti più delicati, inaccettabili e del tutto disumani che in tempi recenti hanno morso e degradato la Campania: il suicidio collettivo che passa per l’avvelenamento del suolo. Il film (uscito il 14 settembre scorso) racconta drammaticamente un territorio casertano violato da mostri senza anima, da poteri distruttivi, da una follia infernale; descrive una terra infelice dove una famiglia di agricoltori si batte perché la risorsa più preziosa, il dono più antico e grande, non diventi una discarica di rifiuti tossici.

Marito e moglie (Massimiliano Gallo e Luisa Ranieri) subiscono minacce e intimidazioni da parte di un avvocato di camorra interpretato da Salvatore Esposito (il Jenny Savastano di Gomorra – La serie), e se resistono per amore e necessità delle proprie radici, i loro parenti si fanno complici della devastazione, si lasciano mangiare dal suono di quattro monete e dalla paura di subire la violenza dei più “forti”. Il veleno del film contamina l’acqua, le piante, gli animali, ma anche i cuori di una terra stupenda, fragile, e lasciata morire.

La stessa terra in cui capita il Don Giuseppe del film L’equilibrio di Vincenzo Marra (in uscita il 21 settembre): un prete che chiede di essere trasferito altrove per superare un momento di crisi nella fede. Da Roma, egli (interpretato da Mimmo Borrelli) finisce dove la criminalità agisce indisturbata nonostante la letteratura, il cinema e il dibattito pubblico da anni le urlino di smettere. Periferia di Napoli, ancora contraddizioni, assenza dello stato, povertà e profonde lacerazioni nel tessuto sociale. Ancora rifiuti tossici e malavita, ma il tema è un altro, o meglio, non è solo questo. Il punto fondamentale per il regista, è il compito, il ruolo, il potere che può avere un sacerdote (e con lui chiunque tenga in mano uno strumento) per migliorare le cose in un contesto sociale difficile.

Don Giuseppe torna a casa sua e sostituisce un prete in gamba, carismatico e amato dalla gente, uno che fa bene il suo lavoro, ma anche uno che sa stare al compromesso; sa quali equilibri non toccare per non essere a sua volta messo nella condizione di non potersi più donare alla sua comunità. In sostanza, il precedente sacerdote chiude un occhio su alcune brutte questioni per evitare di essere mangiato da chi comanda a Ponticelli (dove il film è ambientato e girato), per continuare a lavorare e salvare il salvabile. Don Antonio questo non riesce a farlo, non sa fermarsi, urta, sconfina, fino a che la sua umanità lo porta alla paura e il contesto lo schiaccia nella solitudine. Un bel film, L’equilibrio, solido, asciutto, tosto come Marra ci ha abituati nel tempo; un film aperto che pone domande, che di nuovo inquadra uno spazio in profonda sofferenza da decenni, ormai.

Uno spazio raccontato, in questi giorni, anche da un film napoletano di animazione, un gioiello, un capolavoro in dialetto sottotitolato, un’opera che parte da una napoletanità lontana secoli, quella del libro Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, ispirandosi anche all’omonimo spettacolo teatrale di Roberto De Simone, per parlarci di una città di oggi, eternamente sospesa tra incanto e incubo, tra povertà e ricchezza. Si intitola La gatta cenerentola, (uscito il 14 settembre) di quattro autori assieme: Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone.

Racconta di un uomo perbene, illuminato, che sogna cose grandi per la sua città che ama profondamente: un futuro luminoso, di tutti, che valorizzi la bellezza donata in partenza. Dall’altra parte c’è un individuo spregevole, che vuole tutta quella bellezza per sé, trasformandola immediatamente in immondizia. Attorno a questi due estremi, a queste due anime così lontane, girano tutti gli altri personaggi, complici o vittime di questa dolorosa lotta tra bene e male che attanaglia Napoli e lo spazio che la circonda. Bello e tormentato.

 

 

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