Musica & pace

“Non c’è niente da celebrare nel mondo se non il dolore. Siamo stati a Beirut e a Sarajevo. Noi della Scala abbiamo suonato il Fidelio dedicandolo alla pace. Le ultime parole dicono: “Il fratello cerchi il suo fratello”. Se volete, suoneremo per voi; se non volete, torneremo al nostro Fidelio”. Un Riccardo Muti pallido e serio acquieta i duecento giovani che la sera del 7 aprile alla Sapienza – nel “Concerto per la pace” celebrativo dei 700 anni dell’università per soli invitati – hanno invaso l’Aula Magna, con slogan pacifisti, contestazioni alle logiche guerrafondaie di tanti politici, mettendo in forse la manifestazione. Corrado Augias, in diretta per La 7, ha cercato di mediare, chiamando anche in causa Andreotti e Muti, convinti per la pace. La Serenata in si bem. maggiore “Gran partita” di Mozart vede i giovani seduti in ascolto a terra: il brano si eleva in alcuni momenti – come l’Adagio, poco lento e sempre “ad agio”, come piace a Muti – verso una grazia pacificatrice, che è proprio quello che ci vuole. Ma, all’intervallo, la tensione ritorna. Molti giovani escono insieme ai loro slogan; in sala, discussioni, Bruno Vespa incalza con un “Mu-ti, Mu-ti” per far tornare l’orchestra. Il direttore affronta d’impeto la Sinfonia “Jupiter”. La Filarmonica Scaligera canta, il suono plastico e sciolto dà brividi per quanto è bello, ma le sottolineature drammatiche insistite da Muti dicono la sofferenza acuta sua e degli ascoltatori. Mozart fa il miracolo di portare tutti, per un lungo attimo, su un piano più alto, quello della musica, che non ha colori né tessere ma, col suo stesso esistere, è “concerto di pace”. Il gruppetto di studenti rimasto ha assorbito: il “mondo degli adulti” avrà pure lui compreso? Muti e Mozart ci hanno provato, con l’arte dei suoni, a costruire momenti di fraternità. Grazie, Maestro. Fuori dell’Ateneo, intanto, la notte ha un po’ di luna. E di silenzio meditabondo. PARCO DELLA MUSICA MAURIZIO POLLINI Magnifico. Le note sono cristalli sotto il suo tocco nitido nel Quarto Concerto beethoveniano, intriso di lirismo, mentre un grande Wolfgang Sawallisch “accompagna” con l’orchestra gravida di ombre negli archi scuri: il clima è contemplativo, il fraseggio di Pollini evoca emozioni in una pagina che definire intimista o preromantica appare già di per sé riduttivo, perché essa sa d’infinito. Quando poi tocca al solo Sawallisch nella Settima Sinfonia il controllo del vecchio maestro sull’arcinota partitura gli permette un Allegretto finalmente chiaro e mosso, un Finale “bacchico” dal timbro oscuro: una lettura più che esultante, presaga di dolorosa vitalità. Si esce con la certezza di due carismi artistici – Pollini e Sawallisch – diversissimi, entrambi grandi,capaci di rimanere fedeli a sé stessi, pur facendo musica insieme. Momento indimenticabile, conclusivo del “Progetto Pollini”, con cui il pianista – con oltre 20 mila presenze nelle tre sale – dal 5 al 26 marzo ha fatto “incontrare” con noi musicisti dal’500 ad oggi, in un dialogo extratemporale. Così, Debussy (la sensuale Syrinx per flauto) Berio (il suono “sperimentale” di Sequenza I e XII) hanno accostato Monteverdi (Madrigali, VII e VII libro) e il suo canto “estraniato”; oppure, il Mozart dei Quartetti e Quintetti dialogante con Sciarrino o Ligeti. Chiudeva i sette concerti, un tutto Chopin, quasi un approdo, dopo tante voci, alla bellezza assoluta. Che è il grande amore di un musicista colto, intellettualmente fervido, aperto e sensibile qual è Pollini. Un “viaggio” da ripetere e da approfondire.

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