Mons. Tam Tam

Da seminarista in crisi a nuovo vescovo ausiliare di Napoli. Gli anni fondamentali di mons. Lucio Lemmo.
Lucio Lemmo

«Hai saputo? Il papa ha nominato Lucio nuovo vescovo ausiliare per la diocesi di Napoli! Verrà consacrato l’11 febbraio…». La notizia, circolata in un baleno tra gli amici dei vecchi tempi, raggiunge anche me. Sorpresa e gioia per tutti quanti amano e apprezzano mons. Lemmo, già parroco a Santa Maria della Libera al Vomero Vecchio.

Lo raggiungo presso la curia arcivescovile, in pieno centro storico. Sempre lui, semplice e affettuoso, tra i tanti impegni nell’attesa del grande giorno s’è ritagliato del tempo per una chiacchierata che ci riporta agli anni in cui siamo stati conquistati dallo stesso ideale, quello dell’unità.

Il racconto di Lucio prende le mosse da quando, seminarista in crisi, faceva i suoi sforzi per resistere in seminario. L’unica certezza di quel periodo difficile (a parte, credo, l’esistenza di Dio) era… la batteria! Fin da fanciullo, infatti, il ritmo ce l’aveva nel sangue e ci dava sotto con tutto quello che poteva procurare rumore. E non è escluso che quella stessa passione, grazie alla quale in seguito qualcuno gli avrebbe affibbiato il nomignolo scherzoso di Tam Tam, gli rendesse più leggeri i problemi di adattamento.

 

Era il 1965, all’indomani del grande evento del Concilio, quando fra l’altro la Chiesa si stava aprendo timidamente alle chitarre e alla musica pop, lasciando perplessi gli aficionados del gregoriano o delle cantilene popolari alla sant’Alfonso de’ Liguori.

«Ero studente di liceo al seminario maggiore – racconta l’amico –, quando un mio compagno mi propose di accompagnarlo a piazza Muzii, quartiere Arenella, a far visita ad una piccola comunità. Era la prima volta che mettevo piede in un “focolare” e quel pomeriggio rimasi quasi scioccato dall’accoglienza ricevuta. Mi sono rimasti impressi il sorriso schietto di Cosma, il tè offertoci da Turi e quell’aria di famiglia (quanto bisogno ne avevo!), immerso nella quale la mia estrema timidezza si sciolse.

«Da allora non persi più i contatti con quella gente, compreso il giro di giovani che ben presto scoprii attorno a loro: così conobbi te, Gegè, Salvatore, Roberto… Un aiuto prezioso per superare le mie difficoltà lo trovai proprio nell’amicizia con voi e in special modo con Turi, che fra l’altro per circa tre anni fu mio professore di matematica e fisica (l’iniziativa era partita dal cardinal Ursi, che riteneva importante per i futuri sacerdoti anche una buona base scientifica). Purtroppo non seppi mai dargli molte soddisfazioni come studente delle sue materie; in compenso “bevevo” la spiritualità alla quale mi formava approfittando degli intervalli fra le lezioni».

Il talento musicale di Lucio trovò subito di che esprimersi nel nostro nascente complesso musicale, il Gen Sole. «Era una scuola di vita, di unità. Ed era quella testimonianza, non certo la professionalità, a fare effetto su chi ci ascoltava. È il caso di un altro seminarista – l’attuale vescovo di Pozzuoli, mons. Gennaro Pascarella – capitato ad uno dei nostri primi spettacoli dove, in mancanza di una vera batteria, io suonavo utilizzando… un fustino di Dixan!».

Dopo quegli inizi pionieristici, il complesso si dotò di “veri” strumenti in modo da presentarsi dignitosamente al pubblico, e il repertorio si arricchì di canzoni originali: nient’altro che vita vissuta messa in musica. Dal ’68 cominciarono le prime tournée.

 

Continua Lucio: «Ogni volta io dovevo inventarmi una scusa per uscire dal seminario, ma il rettore mi voleva bene e non mi negava mai il permesso. Sai quanto io fossi timido, figurarsi quando dovevo suonare su un palco; ma insieme a voi perdevo ogni timore e mi scatenavo con le bacchette».

A proposito delle nostre prove musicali, spesso occasione per esercitarsi nel perdere le proprie idee per amore dell’altro, Lucio rievoca argutamente un episodio nel quale lui, batterista che sapeva il fatto suo, si “rinnegò” per compiacere un inesperto come me (allora fungevo da punto di riferimento nel complesso) che gli avevo chiesto di usare, in un passaggio musicale, le spazzole invece delle bacchette. Probabilmente avevo giudicato eccessivamente rumoroso il suo accompagnamento…

Ma anche da queste piccolezze, su cui ora scherziamo, imparavamo a fare spazio a Gesù fra noi, base su cui costruire tutta l’esperienza successiva: un patrimonio da custodire nel futuro che ci si apriva davanti.

 

E adesso, per tornare all’oggi e all’impegnativo compito che lo aspetta in una diocesi come quella partenopea? «La nomina mi ha colto di sorpresa. Ma ho subito pensato all’amore di Dio per me e per tutti coloro con i quali collaboro. Pertanto, l’unico mio pensiero è di essere profondamente unito al cardinal Sepe, perché lui ha la grazia per la nostra città di Napoli, e di vivere in perfetta comunione con mons. Di Donna, l’altro vescovo ausiliare. Essere un po’ come l’olio… per far funzionare gli ingranaggi. È questo il servizio che mi propongo, e questo vale!».

 

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