Migranti, diritti umani e strategie mondiali

L’accordo tra Ue e Tunisia vede come protagonista il governo di Giorgia Meloni che si propone, con la conferenza internazionale e il "Processo di Roma”, come punto di riferimento occidentale nella strategia del Mediterraneo allargato. La questione centrale dei diritti umani
Migranti Tunisi Foto Ap La Presse

Il caldo estremo non ferma l’attivismo del governo Meloni. In particolare sul piano internazionale con riferimento alla macro area del Mediterraneo allargato dove si consumano molteplici contraddizioni. Su tutte la difficile gestione del fenomeno epocale delle migrazioni che il nostro Paese, snodo geografico e marittimo tra tre continenti, non può ignorare.

Foto La Presse

Il 16 luglio le foto di agenzia hanno riportato l’immagine degli artefici del Memorandum di Tunisi, firmato nel sobborgo marittimo di Cartagine. Accanto all’austero presidente tunisino Kais Saied, compaiono sorridenti la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il premier olandese Mark Rutte e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Diversamente da quello con la Libia siglato nel 2017 da Gentiloni su iniziativa di Minniti (entrambi del Pd), non è solo l’Italia ma l’Unione Europea a concludere un accordo con un Paese di partenza dei migranti dal Nord Africa. In linea, quindi, con i rapporti in essere con la Turchia, che riceve dall’Ue miliardi di euro per fermare l’arrivo di migranti in Europa, ma con la differenza sostanziale che la Tunisia non intende allestire campi profughi sul proprio territorio.

Una clausola esplicitamente voluta da Kais Saied, presidente di un Paese in grave crisi economica e impegnato, perciò, in una serrata trattativa con il per ottenere finanziamenti senza dover sottostare a condizioni vessatorie che aggraverebbero le già difficili condizioni della popolazione.

Manifestazioni contro il presidente Saied in Tunisia. foto Ap La Presse

Saied è un autorevole giurista salito al potere democraticamente grazie alle promesse di un programma anticorruzione. A partire dal 2021 ha, tuttavia, prima sospeso e poi sciolto il Parlamento, accentrato il potere e represso la dissidenza della società civile, molto viva e attiva in Tunisia. Con un voto a larga maggioranza il Parlamento europeo ha perciò approvato, nel marzo 2023, una risoluzione che invita l’Ue a sospendere «specifici programmi di sostegno dell’Ue ai ministeri della giustizia e degli affari interni della Tunisia».

È inoltre nota la deriva presa da Saied con discorsi pubblici sempre più fortemente ostili contro i migranti subsahariani, tanto da istigare scontri etnici contro gli stessi migranti deportati in un’area desertica posta al confine con Libia e Algeria.

Le immagini strazianti delle famiglie morte di sete nella terra di nessuno, rese note grazie a media come Avvenire, hanno fatto il giro del mondo e suscitato forte sdegno proprio mentre si definiva l’accordo con l’Ue fortemente criticato da Amnesty International. Secondo Eve Geddie, direttrice dell’ufficio dell’organizzazione umanitaria presso le istituzioni europee, «questo accordo firmato nonostante le evidenti prove di gravi violazioni dei diritti umani da parte delle autorità tunisine, comporterà una pericolosa proliferazione di politiche migratorie già fallimentari e segnalerà l’accettazione da parte dell’Unione europea di un comportamento sempre più repressivo da parte del presidente e del governo di Tunisi».

Nel testo ufficiale del Memorandum si prevede «una gestione efficace delle frontiere e lo sviluppo di un sistema di identificazione e di rimpatrio dei migranti irregolari già presenti in Tunisia verso i loro Paesi di origine» seguendo la «priorità di combattere la migrazione irregolare per evitare la perdita di vite umane, nonché di sviluppare canali legali per la migrazione». Viene precisata la posizione della Tunisia che non intende diventare «un Paese di insediamento per i migranti irregolari» e «ribadisce inoltre la sua posizione di presidiare solo le proprie frontiere» secondo un approccio che si «baserà sul rispetto dei diritti umani e comprenderà la lotta contro le reti criminali di trafficanti di migranti e di esseri umani».

Secondo il Tavolo Asilo e immigrazione, di cui fanno parte la Fondazione Migrantes della Cei e il Centro Astalli dei gesuiti, «così come è già successo con la Turchia di Erdogan e con la Libia delle milizie, l’UE, per cercare di contenere gli arrivi sulle coste italiane e d’Europa, finanzia un regime che ha cancellato le garanzie democratiche al proprio interno.

Famiglie di migranti trasferiti dalla Tunisia sul confine desertico con la Libia (AP Photo/Yousef Murad)

E lo fa senza porre alcuna concreta condizionalità sul rispetto dei diritti umani fondamentali, al di là della consueta formula nel testo che ormai risuona più come un vuota clausola stilistica, quando il quadro in cui si opera ha recentemente visto il presidente Saied sciogliere il Parlamento tunisino, scatenare una vera e propria caccia allo straniero nei confronti dei migranti sub-sahariani, e infine deportare illegalmente ai confini con la Libia e con l’Algeria centinaia di persone in transito verso l’Europa, causando la morte di molte di loro, incluse donne e bambini, e violando quel diritto internazionale che lo stesso Memorandum richiama».

Un giudizio molto severo quello del Tavolo immigrazione e asilo secondo cui «l’unico vero obiettivo dell’Europa, e in particolare della nostra presidente del Consiglio, è impedire alle persone – tunisine e provenienti da altri Paesi – di partire» con l’aggravante che «l’Europa fornirà nuovi assetti e strumenti alla Guardia Costiera tunisina che, secondo numerose testimonianze, utilizza modalità estremamente violente e pericolose durante le intercettazioni in mare, che in alcuni casi hanno portato alla morte delle persone in viaggio. I respingimenti in Tunisia, facilitati dai finanziamenti europei, sono inoltre da ritenersi illegittimi alla luce delle condizioni del Paese che ormai non si può più considerare sicuro ai sensi del diritto internazionale e in cui la vita dei migranti è in pericolo».

 È di tutt’altra opinione Marco Minniti, esponente dem, ex Pci, e già ministro degli interni, secondo il quale l’accordo di Tunisi «è un successo per il nostro governo e per l’Europa che fa da apripista per la stabilizzazione dell’Africa che è il fronte secondario della guerra asimmetrica con l’Ucraina. Poi bisognerà pensare alla Libia, all’Egitto (a cui il Fmi ha già concesso un notevole prestito, che in queste ora sta accogliendo i profughi dal Sudan) e al Niger, Paese del Sahel importante per i flussi e il terrorismo islamico».

Minniti parla come presidente della Fondazione Med Or promossa dalla società Leonardo per promuovere «i rapporti internazionali tra l’Italia e i Paesi dell’area del Mediterraneo allargato fino al Sahel, Corno d’Africa e Mar Rosso (“Med”) e del Medio ed Estremo Oriente (“Or”)». La sua è, quindi, una valutazione geopolitica basata sulla convinzione che «in un momento in cui si prospetta un nuovo ordine mondiale bisogna dividersi i compiti per evitare l’instabilità del pianeta. E all’Europa spetta la cura dell’Africa». Ne consegue che l’accordo voluto dalla von Der Leyen e dalla Meloni «è un grande passo verso la stabilizzazione della Tunisia» tanto da prefigurare per la presidente del consiglio italiana un ruolo decisivo simile a quello della Merkel che, contro l’inerzia di una Ue stretta da «una tenaglia umanitaria», davanti alla «crisi dei profughi siriani prese l’iniziativa nell’accordarsi con Erdogan che fermò i flussi per 3 miliardi di euro, dopo raddoppiati».

Vertice di San Pietroburgo foto Ap La Presse

Per avere un’idea dell’importanza dell’Africa occorre pensare, infatti, alla presenza crescente di russi e cinesi in questo continente. Il 27 luglio è in programma un vertice a San Pietroburgo tra Putin e i leader di 17 Paesi africani.

È seguendo tale ragionamento di una riconoscibilità del ruolo dell’Italia in questo crocevia storico, che si può comprendere l’iniziativa del governo italiano di promuovere il 23 luglio, ad una settimana dal Memorandum di Tunisi, la Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni per concordare l’avvio del “Processo di Roma”, cioè di «una piattaforma strategica, globale, inclusiva e pluriennale per l’azione collettiva». La conferenza internazionale ha radunato le delegazioni dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo, assieme a quelle degli Stati membri dell’Ue di primo approdo, nonché gli Stati del Golfo, del Corno d’Africa e del Sahel. Significativa la partecipazione delle primarie organizzazioni internazionali, oltre alla delegazione della Ue.

Foto Cecilia Fabiano/LaPresse

Un’iniziativa che punta a rafforzare le misure di prevenzione e contenimento dei flussi migratori irregolari oltre a promuovere un modello di sviluppo condiviso con i Paesi di migrazione. Una pretesa di indirizzo strategico che, di solito, vede come soggetto attivo la Francia per la sua storia di potenza ex coloniale, con particolare riferimento all’Africa, ma che stavolta non è stata invitata perché non considerata un Paese Ue di primo approdo, al contrario di Grecia e Spagna.

Secondo Luca Gambardella de Il Foglio, «il “processo di Roma” è anche un innegabile successo diplomatico per la premier italiana» che ha incassato il riconoscimento e la partecipazione alla conferenza alla Farnesina del «presidente degli Emirati Arabi Uniti, deus ex machina dei cambiamenti politici in atto in molti Paesi africani e mediorientali».

Barriera tra Usa e Messico (AP Photo/Eric Gay)

Un viatico per il primo viaggio, il 27 luglio, della Meloni a Washington, dopo i ripetuti apprezzamenti di Biden alla fedeltà atlantica dell’Italia sulla guerra in Ucraina. Lo stesso presidente Usa è nel pieno del contenzioso sulla questione migratoria davanti alla sfida aperta del governatore del Texas, Greg Abbott, che ha deciso di costruire una barriera di filo spinato sul Rio Grande rimandando indietro i migranti messicani nel deserto negando loro anche l’acqua da bere.

Se come dice Marco Minniti riferendosi all’Italia, «l’Onnipotente ci ha messo in una collocazione geograficamente strategica strepitosa: il crocevia tra l’Occidente e il Sud del mondo», resta da capire la missione che il nostro Paese è chiamato a svolgere restando fedele alle sue radici di umanità.

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