Mazzariol e il “paese dei gelsi”

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C’è da guadagnare a imbattersi in Ferruccio Mazzariol, sia che lo si legga, sia che si abbia il piacere di conversare con lui raggiungendolo a Treviso, dove vive. Rappresentante di una civiltà contadina ricca di valori, le cui tradizioni affondano le radici nell’humus cristiano, è lontano mille miglia dalle complicazioni e dalle artificiosità che affliggono la nostra società troppo spesso disumana. Rasserenante, direi terapeutico, è l’approccio con questo scrittore, poeta e saggista nato sessantasei anni fa al Colmello della Grasseghella, frazione di Ponte di Piave. Mazzariol è anche l’artefice e l’anima di Santi Quaranta, piccola ma vivace editrice che si distingue per la creatività, la qualità culturale e la finezza grafica dei volumi pubblicati: prende il nome (e il logo) dalla bella porta urbica trevigiana dedicata ai quaranta martiri di Sebaste che non vollero bruciare l’incenso all’imperatore pagano: indizio anche questo del suo spirito libero e incapace di rassegnarsi all’assenza di morale. Qualcuno l’ha definito editore tuttofare. Dotato, infatti, di una capacità imprenditoriale di tutto rispetto e (ciò che non è secondario) di una salute di ferro, Mazzariol percorre Veneto e Friuli per promuovere la sua produzione attraverso circa 900 punti vendita regolarmente visitati. Un sistema po’ insolito, ma efficace, considerato che l’80 per cento delle vendite avviene così, facendo il rappresentante di me stesso commenta con fierezza lo scrittore. Primo di tre figli, dal padre Virgilio, affascinante narratore di storie nei filò (le riunioni serali dei contadini nelle stalle),Mazzariol ha ereditato l’amore per i libri e per la lettura; e dalla madre Gina, una semplice donna ricca però di sapienza evangelica, la robusta fede. Scrittore solare, pur se consapevole della precarietà del tutto, sa gioire delle cose minime, quotidiane. Nel gennaio 1984 – così spiega gli esordi della sua attività editoriale -, trovandosi in grosse difficoltà finanziarie, Città Armoniosa, cui ero legato per aver tradotto Lettere e diari di Emmanuel Mounier e La donna povera di Bloy, ha richiesto il mio aiuto per liquidare i libri in catalogo. L’operazione, durata due anni e mezzo, ha fruttato la vendita di circa 130 mila volumi. Ho riportato i conti in pareggio, ma purtroppo questa bella editrice di Reggio Emilia ha dovuto chiudere lo stesso. Mi è venuto in mente allora di metterne su una in proprio: la pensavo non laica, ma pluralista, con un suo fondo di umanesimo cristiano e una grande attenzione alla creatività, che per me ha sempre una connessione col trascendente (non credo allo scrittore che si dichiara ateo). Così, nell’89, ho dato il via al progetto. Tematiche e autori – prosegue Mazzariol – riguardano solo in parte l’ambito veneto-friulano: con nomi di grande prestigio che spaziano da Elio Bartolini, autore fra l’altro de L’infanzia furlana (il nostro romanzo di maggior successo), ad Amedeo Giacomini, a Luciano Marigo, a Luciana Gramigna, a Fortunato Pasqualino…. Chiamate in causa sono anche quelle che lui chiama piccole civiltà, vedi ri scrigni ricchezze tutte da scoprire. Di qui la ricerca di scrittori stranieri pressoché sconosciuti da noi. Come si ama la propria terra veneta si può amare anche la Moravia di Ludvík Vaculík, la Macedonia di Boris Vishinski, il Caucaso di Aleksandr Bestuz?ev… Ma abbiamo anche autori del calibro di Theodor Fontane, il grande scrittore tedesco, di cui abbiamo tradotto tre titoli ancora inediti in italiano. Grande attenzione anche alla saggistica: di René Girard abbiamo pubblicato con successo La vittima e la folla. Non manca neppure una collana di fiabe e leggende. Come autore Mazzariol si ispira, in maniera colta, a quel mondo contadino veneto così ricco di valori che purtroppo si vanno perdendo… o no? Certo! – si rammarica lo scrittore -. Come mai oggi dalle nostre parti sono così frequenti omicidi e suicidi, mentre fino agli anni Cinquanta il fenomeno era quasi inesistente? Era un mondo patriarcale, con un forte senso comunitario. È vero che c’erano tante privazioni a causa della miseria, che si lavorava duro nei campi, però quanto si cantava! C’erano forme di svago più genuine, c’erano pochi malati psichici, anche perché la ciacola – questo confabulare veneto – risultava terapeutico. In una parola, si viveva più gioiosamente di oggi, pur con i difetti e i limiti di ogni comunità. Certo quel mondo non può ritornare, ma – senza idealizzarlo – sarebbe bello poterne ricreare almeno le atmosfere: quelle dei filò ad esempio. Specchio di esso è il suo Paese dei gelsi, a prima vista una storia locale, limitata all’ambito del folclore. Eppure vi si scopre una spiritualità profonda. Beh, non farei l’editore se credessi di aver scritto un grande libro – si schermisce Mazzariol -. Lì ho voluto solo fare il ritratto coi miei occhi, come ne ero capace, di quel piccolo paradiso terrestre del Celeste Paradiso che era il mondo perduto della mia infanzia. È un libro volutamente elegiaco, brioso, non trasgressivo o corrosivo. Gli è stato anche rimproverato di essere eccessivamente religioso. Ma in gran parte il mondo dei nostri nonni lo era; anche se percorso dal fenomeno della bestemmia, si caratterizzava per un grande rigore morale. Un successo costante, come dimostrano le sue otto edizioni. Una lettura, è assodato, che trasmette serenità e fiducia nella vita. Non è poco, in un’epoca in cui sembra non trovi molto posto la gioia autentica, quella di cui Paolo VI trattò nella Gaudete in domino quando asserì la necessità di impararla di nuovo a partire da quelle semplici, umane, disseminate nel quotidiano. Paese dei gelsi, perché protagonisti umanizzati di queste memorie sono gli alberi piantati nella campagna della sinistra Piave per l’allevamento dei bachi da seta. Ricordano all’autore la sua fanciullezza lieta ivi trascorsa fra i suoi familiari, i vicini di casa, i negozietti, i giochi, le feste… le tradizioni che io, pur così appassionato per le riforme sociali, amo tanto (non i loro orpelli!), perché si basano sulla saggezza popolare e sulle certezze della fede: valori che permettono di vivere al meglio e di superare anche i momenti di prova più ardua. E a proposito di fede, non sono d’accordo se la s’intende come un fatto intimistico e basta. Essa per me deve trovare sempre un’espressione comunitaria, una coralità: di qui il mio attaccamento alle manifestazioni della pietà popolare e alla liturgia, che spero l’attuale papa rafforzi. L’uomo di fede, inoltre, non può essere cupo e arcigno; sobrio sì, ma deve anche saper gustare un bicchiere di cabernet o di raboso. Parola di Mazzariol, figlio appunto di una terra famosa per questo vino sapido e robusto.

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