Maternità surrogata: il no del Consiglio d’Europa

Con 83 No, 77 Sì e 7 astenuti è stato respinto il Rapporto De Sutter. Forte la quasi unanimità della delegazione italiana che, pur provenendo da schieramenti diversi, hanno detto il proprio no a questa moderna forma di schiavitù per le donne che, in più, riduce il bambino a merce
Un neonato

Ha il sapore di una giornata storica quella che è stata vissuta martedì scorso a Strasburgo nell’Assemblea Parlamentare che riuniva in seduta plenaria i rappresentanti dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa: si stava discutendo sul Rapporto De Sutter, un documento che è stato oggetto di studio della Commissione Affari sociali che, pur chiedendo le doverose tutele per i figli nati da maternità surrogata, apriva alla regolamentazione di questa tecnica, subdolamente diffusa anche in alcuni Paesi europei, cercando di distinguere tra maternità surrogata “commerciale” e quella “gratuita”. Dopo 4 votazioni che respingevano decisamente il Rapporto De Sutter già effettuate in Commissione si è giunti alla bocciatura dell’Assemblea Parlamentare.

 

La discussione è stata serrata. Si sono distinti su tutti i parlamentari italiani che sono riusciti a fare un gioco di squadra che ha pochi precedenti così limpidi: pur provenienti da schieramenti diversi sono riusciti a trovare un deciso accordo per il No al Rapporto. La delegazione italiana è intervenuta in Aula per presentare due emendamenti contrari al Rapporto; in tutt’e due i casi la parola non è stata presa dal primo firmatario ma da uno degli altri onorevoli per dare l’idea che si trattava di posizioni condivise.

 

Così ad esempio l’emendamento che respingeva integralmente il Rapporto con prima firmataria l’on. Santerini (Ds. Cd) è stato presentato dall’on. Centemero (Fi). Un grande impegno è stato profuso in questi due anni di discussione in Commissione Affari Sociali dall’on. Cimbro del Pd che ha coinvolto anche i deputati di altri schieramenti, primi fra tutti i 5 Stelle, in un fronte comune contro la maternità surrogata, una pratica che, come abbiamo spesso detto anche dalle colonne del nostro giornale, è una moderna forma di schiavitù che assoggetta le donne più povere a portare in grembo per 9 mesi un figlio, spesso geneticamente non loro, per poi staccarsene al parto. Un figlio-merce commissionato da coppie (etero od omosessuali non importa) con disponibilità economica che mettono plasticamente in scena la divisione delle moderne società in classi, in uno scenario post-moderno di questioni biopolitiche in cui il potere non è tanto e non solo sulla proprietà dei mezzi di produzione industriale, ma sulla disponibilità alla commercializzazione del proprio corpo (molto ci sarebbe da dire anche sui traffici collaterali ai trapianti di organo).

 

Un ruolo importante per il raggiungimento di questo successo è stato sicuramente anche quello della società civile che attraverso campagne di sensibilizzazione internazionale (una fra tutte la Campagna Stop Surrogacy Now) hanno portato alla ribalta questo argomento della maternità surrogata, altrimenti messo  in un angolo, attraverso il detto e non detto, e lasciato come un suggerimento, una possibilità che viene suggerita alle coppie sterili che possono permetterselo.

 

Queste campagne sono nate dall’alleanza di scopo tra donne soprattutto, ma anche uomini provenienti da estrazioni professionali, culturali, religiose, etniche, politiche trasversali e diversissime. Esse hanno saputo mettere in evidenza l’inganno che sottostà alla surrogazione di maternità, la cosiddetta “gestazione per altri” che, attraverso un’abile manipolazione linguistica, suggerisce che sia possibile per una donna fare terapie ormonali, dare un periodo della propria vita con una forte limitazione della propria libertà per mettere al mondo un figlio per altri; dare spazio e vita a un figlio per staccarsene alla fine come dopo aver ben confezionato un prodotto, sottostando anche a dei contratti strettissimi che prevedono doveri e risarcimenti e anche, come accaduto più volte, l’eliminazione di un feto se la gravidanza fosse gemellare.

 

Desiderare un figlio e non poterlo avere è un dolore grandissimo, un’esperienza che mette in gioco l’identità stessa degli uomini e delle donne che si trovino a vivere questa difficoltà. Ma non è un motivo valido per comprarlo. L’uomo non è una merce. Mai.

E questa volta la politica è stata capace di dichiararlo, garantendo così i diritti delle donne e dei figli altrimenti ridotti a cose.

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