Martin Scorsese e Dio

Quale spiritualità per il grande regista? Quale la sua idea di cattolicesimo? Domande complesse, sollecitate dal fatto che i suoi film hanno parlato spesso di religione

Nel 1988 ha girato il controverso L’ultima tentazione di Cristo, dal romanzo omonimo di Nikos Kazantzakis; nel ‘97 ha realizzato Kundun, un film sul Dalai Lama, e oggi, all’età di 75 anni, scolpisce una pietra pesante e preziosa come il doloroso, intenso e disturbante Silence, dal libro del giapponese Shusaku Endo. Non solo dai temi religiosi, però, si percepisce la profonda spiritualità di Scorsese, perché la fede, in particolare quella cristiana e il cattolicesimo, premono da dentro i suoi personaggi anche quando essi siano gangster, broker, tassisti notturni o guidatori di ambulanze. C’è di certo un grande sentire spirituale in lui, un eruttare continuo di domande sull’argomento.

Del resto, con la Chiesa egli ha avuto da subito a che fare, visto che fu bimbo nella Little Italy di New York, e i suoi genitori, nati a Manhattan da genitori emigrati dalla Sicilia – credenti senza se e senza ma –, lo mandarono in seminario per garantirgli la migliore delle due strade possibili per chi proveniva da quel posto: «Cosa diventare, a Little Italy, se non un gangster o un prete?», ha raccontato Scorsese più volte, ma se quel viaggio fu parentesi breve – studiava poco ed era interessato alle ragazze –, l’incontro con sacerdoti in gamba contribuì non poco alla sua formazione. Di recente intervistato da Padre Antonio Spadaro per La Civiltà Cattolica (un bellissimo colloquio avvenuto in occasione dell’uscita di Silence), Martin ha ricordato «la fortuna che ebbe, da ragazzo, ad incontrare un prete straordinario come Padre Principe». Fu per lui guida ed esempio: «Mi insegnò la pietà con se stessi e con gli altri». Era severo, persuasivo, ma lasciava libertà di pensiero, e soprattutto, ricorda ancora il regista: «Aveva un amore straordinario».

Quando una sensibilità innata è allevata in una cultura con forte connotazione religiosa (anche se, come nel quasi ghetto in cui Scorsese crebbe, la visione di Dio può essere facilmente alterata…) questo grande tema non può che annidarsi nel profondo dell’anima e da lì tornare su con sentimenti, riflessioni e, nel caso del regista, con domande per tutto il corso della vita. Va da sé, che in un autore per cui cinema e vita sono quasi la stessa cosa, la spiritualità penetri nei personaggi e da lì riesploda in forma implicita. Mean streets, primo successo di Scorsese, aveva come sottotitolo Domenica in chiesa e lunedì all’inferno, e raccontava sia l’educazione criminale che quella spirituale nella Little Italy della grande mela; Taxi driver era un viaggio all’inferno e poi una redenzione; Casinò, Quei bravi ragazzi e The Wolf of New York raccontavano l’idolatria del successo, del potere e del denaro, prima che qualcosa, o qualcuno, arrivasse a piegare la tracotanza umana ed obbligasse a un atterraggio malinconicamente salvifico. Toro scatenato e Al di là della vita erano storie di uomini incapaci di amarsi e quindi di amare, ma erano accarezzati entrambi, nel finale, dalla possibilità di avere nuovi occhi. Il primo dei due titoli citava, nel finale, il Vangelo di Giovanni: «So che ero cieco e ora ci vedo».

La spiritualità di Scorsese è forte e magmatica: è fiducia nella cultura cattolica e nel cristianesimo, è scelta morale, è ricerca e desiderio di Dio; ma è anche dubbio, conflitto tra fede e ragione, tra tangibile e intangibile. È fertile e appassionato tormento. Silence, per esempio, è una grande riflessione sul rapporto tra l’essere umano e Dio, ma offre anche stordenti quesiti sul rapporto tra diverse religioni e varie culture del pianeta. È un film sul confine che può farsi sottile tra religione e politica, è un’opera potente e di grande complessità, che pone domande difficili sul modo più sano di vivere la nostra relazione con Dio, sul modo migliore di rapportarci con i dettami della nostra stessa religione. Fa male perché non è consolatorio, perché non semplifica, perché non risponde (con quella decisione che ci conforta e ci rassicura) alla domanda se sia stato Dio a creare l’uomo, o se sia stato l’uomo ad inventare Dio. Lascia spazi destinati allo spettatore, ateo o credente che sia. Il silenzio di Dio va interpretato da chi guarda, e si può leggere anche come voce. «A me interessa come le persone percepiscono Dio, o, per così  dire, come percepiscono il mondo dell’intangibile – ha detto ancora Scorsese a Padre Antonio Spadaro –.  Ci sono molte strade, e penso che quella che si sceglie dipenda dalla cultura di cui si fa parte». Scorsese vive con partecipazione il sentimento religioso. Questo si sente chiaramente nei suoi film e nelle sue interviste.

Lo conosce bene e bene lo descrive come interno all’essere umano. Anche quando racconta Gesù, con L’ultima tentazione di Cristo, si concentra molto sull’uomo con la sua fragilità. «Se Gesù – ha dichiarato – fosse solamente divino e non capace di provare le sensazioni di un uomo, non proverebbe nessuna sofferenza nella crocifissione, e non avrebbe nessun valore per l’umanità».

La strada di Scorsese è stata quella del cattolicesimo, come spiega lui stesso, perché nato in quella cultura, ma il fatto che le sue torrenziali e indomabili domande lo portino ancora a tenere viva quella sensazione di bellezza annusata da bambino, fa riflettere sulla validità universale della lezione cristiana. «Il potente messaggio di compassione e amore – riflette ancora Scorsese con padre Spadaro –, quella è la chiave». In fondo, l’essenza del messaggio di Cristo.

Ed è per amore che agisce il protagonista di Silence, padre Rodriguez. Questo è innegabile. Un amore sconfinato per le persone, che lo porta – in totale buona fede – a donare se stesso per gli altri.

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