Mancavano venti euro

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“L’ombra del passato” e “Il futuro ti attende”, due manifesti pubblicitari a pochi metri l’uno dall’altro, lungo quel viale: il primo relativo ad un film; l’altro, un invito diretto ai giovani per una possibile carriera in una delle specialità dell’esercito. Corrado sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo, un testo di spiritualità sul valore dell’attimo presente, e sorrise fra sé. Certe coincidenze non sono casuali, per chi cerca di lasciarsi guidare dalla logica del vangelo: tutto, anche una pubblicità, diventa per lui “segno”, richiamo di Dio. E quei due manifesti quasi di seguito esprimevano bene la tensione (o la tentazione) a cui l’uomo è soggetto, quando non ha una motivazione spirituale che lo sollevi: lasciarsi condizionare dal passato come dal futuro, dimenticando il presente nel quale invece il suo percorso può incrociare, di volta in volta, i passi di Dio. Corrado avrebbe potuto narrare diversi episodi in cui la routine metropolitana gli si era illuminata di luci inattese, di scoperte, dandogli la sensazione di essere in compagnia anche quando si trovava da solo tra una folla anonima, che poi tale per lui non era. Luci, scoperte e coincidenze, che poi in genere dimenticava… sempre per via di quel puntare la bussola sul presente, che ti fa mettere dietro alle spalle il passato, bello o triste che sia, e ti proietta invece in avanti. Non che avesse sempre chiaro cosa fare: a volte, la voce interiore sembrava prendersi una pausa di riposo e, per lui, quando non c’era l’appiglio di un sicuro dovere a cui applicarsi – lavoro, appuntamenti, telefonate… -, era più difficile, fra cose indifferenti, scegliere quella giusta. Per esempio, aveva fatto bene, quella sera, di ritorno dal lavoro, a fare quella deviazione prima di rientrare a casa, dove lo aspettavano incombenze varie, per concedersi invece un momento di relax? Era stato un prendersela comoda, un pensare a sé? Attraversava, in quel momento, un parco semideserto, nel quale già calavano le ombre della sera (i lampioni non erano stati ancora accesi). Pochi i passanti, in quel lembo verde del quartiere. Così più facilmente notò, cento metri davanti a sé, una figura longilinea venire avanti, verso di lui. Notò anche che strascicava leggermente i piedi. Mamadou, una ventina d’anni, provenienza dal Senegal. La sua era una famiglia numerosa, come è normale in Africa, che viveva in dignità la propria povertà. Per questo lui, il primo maschio di ben quindici tra fratelli e sorelle, s’era avventurato in Italia: per cercare fortuna e tentare di aiutare i suoi. Per Mamadou non era stato facile adattarsi in un paese straniero, dove tutto era diverso, dal cibo alla lingua, alla mentalità. Aveva sperimentato la solitudine, lui abituato alla vita del villaggio dove ogni occasione, triste o lieta che fosse, era buona per condividere e sentirsi comunità. Aveva sofferto la fame persino, dormito sotto le stelle o in un vagone ferroviario abbandonato; si era esposto a tutti i rischi della strada. Solo da poco aveva trovato alloggio in una stanza con altri dieci immigrati come lui, anche se ad un prezzo esoso. Dopo aver fatto tanti lavoretti saltuari, ma sempre in nero, il gestore di un ristorante gli aveva promesso di prenderlo con sé qualora lui si fosse messo in regola col permesso di soggiorno. Mamadou ne aveva fatte di acrobazie per mettere insieme i soldi necessari. Ma a poco sarebbero serviti i sacrifici, senza l’intervento decisivo di una anziana signora che, presolo a benvolere, gli aveva offerto buona parte della somma necessaria. In effetti tante volte, nei momenti più duri, Mamadou (che era cristiano) aveva sperimentato la provvidenza di un Dio che è Padre. Ora era arrivato quasi al traguardo; il giorno dopo avrebbe dovuto presentare i documenti, ma gli mancavano ancora 20 euro per le marche da bollo. Aveva girato tutto il giorno per raggranellare quei pochi soldi, arrivando anche a mendicare, ma le poche monetine ricevute gli erano servite appena per procurarsi un pasto. Adesso si sentiva letteralmente sfinito, con i piedi tutti indolenziti, e per di più si stava facendo sera. A chi chiedere ancora? Per reagire allo sconforto che lo andava invadendo, il giovane senegalese si mise a pensare a sua madre, alle parole che lei gli ripeteva spesso, da piccolo: “Figlio mio, sappi che Dio ti ama… Non dimenticarlo mai: Dio ti ama!”. “Dio, aiutami – pregò in cuor suo Mamadou, alzando lo sguardo verso il cielo che si andava incupendo, senza che tuttavia fossero ancora comparse le stelle -. Solo tu, Dio, puoi aiutarmi”. Mentre così andava ripetendo, era giunto nei pressi di un giardino pubblico. D’un tratto scorse qualcuno poco più avanti, sullo stesso marciapiede. Facendosi coraggio decise di fermarlo. “Capo…”. Balbettando per la vergogna espose all’altro il suo problema; mostrò pure i documenti per il suo permesso di soggiorno. Corrado provò disagio per quel “capo”: no, per lui un uomo valeva l’altro, erano tutti fratelli. “Come ti chiami? Di dove sei?…”, chiese a sua volta per instaurare, prima, un minimo di rapporto. Dopo aver avuto risposta, pensò un momento, e guardando in volto quell’africano dallo sguardo onesto, verificò nel portafoglio: sì, aveva proprio due biglietti da 10 euro. Si fosse trattato di pezzi più grossi, non avrebbe saputo dove cambiarli in quel luogo quasi deserto. A quel gesto, vide Mamadou illuminarsi come un sole. “Come dirti grazie? È Dio che ti ha mandato”. “Sì – confermò Corrado, quasi più contento di lui, stringendo la mano che l’altro gli porgeva -: Dio che ti ama immensamente”.

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