Mamme da nord a sud, un movimento per l’ambiente e la salute

Un fenomeno globale che vede in prima fila le donne che sanno cogliere lo stretto legame tra ambiente e salute come priorità nell’azione nonviolenta per il bene comune. «Ci rifiutiamo di distogliere lo sguardo, ci rifiutiamo di arrenderci e faremo tutto il possibile per la vita e il futuro dei nostri figli». Nota di Cinzia Guaita di War Free  
Le Mamme No Pfas davanti al Ministero dell'Ambiente. Foto Candela Copparoni

Madri ribelli per proteggere l’ambiente dai soprusi, dall’inquinamento, dalla crisi climatica ed ecologica: sono tante le donne che in ogni angolo d’Italia si impegnano per la giustizia ambientale, preoccupate per la salute e il futuro dei loro figli e dei figli di tutti. Madri non solo biologiche, ma mamme di cuore, legate da un profondo amore e senso di cura per la vita e la natura.

Daniela Spera di Taranto (Archivio foto mamme da Nord  Sud)

La rete della Mamme da Nord a Sud nasce nel 2019, a partire dall’incontro di tre realtà provenienti da territori estremamente contaminati e in lotta per la salute. Daniela Spera di Taranto ha incontrato, a Pescara, durante un convegno organizzato dalla Rete H2O, Michela Piccoli e Giovanna Dal Lago, mamme No Pfas del vicentino; e così grazie anche a Lorella Cappio e altri amici conoscitori delle lotte delle madri del Sud America, le Madri di Piazza di Maggio hanno unito le loro storie, le loro associazioni in una rete che contiene e potenzia l’impegno di donne in lotta per la vita dei figli.

Un anno prima, l’8 marzo 2018 il Premio Donne Pace Ambiente Wangari Maathai, alla sua settima edizione, organizzato dall’Associazione A Sud, era stato conferito alle Mamme No Pfas vicentine (che hanno vinto il premio per la sezione Acqua), alle donne dell’osservatorio Val d’Agri (premio Terra), alle mamme No Tap (premio Fuoco) e alle Donne di Colleferro (premio Aria).

Così anche queste esperienze sono entrate nella rete e via via altri gruppi, altre lotte, altre storie. Attualmente ci sono decine e decine di associazioni, letteralmente in ogni angolo d’Italia, che portano avanti azioni per il cambiamento nei luoghi più contaminati della penisola, scontrandosi spesso con il muro di gomma dell’omertà istituzionale.

Oggi il ventaglio è vasto: dalle “Mamme No Pfas” del vicentino, appunto, che si battono per mettere al bando gli “inquinanti eterni”, i Pfas, che hanno avvelenato la falda acquifera più grande d’Europa e il sangue dei loro figli, alle mamme di Brescia dove la Caffaro, azienda chimica ha inquinato con PCB e diossina fino all’apice della catena alimentare, perfino il latte materno; dalle donne di Taranto, che vedono morire i figli sotto la polvere dell’acciaieria, alle madri sarde che si battono contro le basi militari e le fabbriche di bombe; e ancora le “Mamme Antismog” nella Pianura Padana, le mamme di Venafro, quelle No Tap, quelle che vivono sotto la fiaccola nella valle del petrolio in Basilicata, e tante altre.

È la solidarietà intergenerazionale, la tenacia e la caparbietà a farle andare avanti, nonostante la strada sia spesso una ripida salita. «Le donne, vittime designate dal sistema patriarcale, sono come la natura» scrive Nicoletta Dosio «sono come le radici che caparbiamente risorgono anche sotto l’asfalto, resistono e si ribellano».

Dalle manifestazioni alle azioni di disobbedienza civile, dalla paziente documentazione, al monitoraggio attento, alle azioni di vigili sentinelle, le donne cercano di conciliare tutto, lavoro, famiglia e cittadinanza attiva, spesso portandosi i figli alle manifestazioni.

«La rivolta dei passeggini» chiamarono le manifestazioni contro il rigassificatore di Piombino, con le piazze al 90% occupate da donne.

E gli uomini dove erano? Gli uomini in molte città segnate da grandi industrie inquinanti, sono più legati al ricatto lavorativo, e forse per una cultura ancora troppo patriarcale, meno sensibili alle tematiche della salute e della cura.

Le donne invece intuiscono visceralmente lo stretto legame tra ambiente e salute, sanno che stanno passando attraverso il loro corpo gli inquinanti al figlio fin dalla gravidanza, sanno che i bambini sono i più esposti e i più fragili. La lotta per la salute dei figli hanno visto mobilitarsi tante donne, e per molte di loro, soprattutto per chi vive nelle aree depresse e disagiate, è stato un riscatto e un’emancipazione.

I presìdi diventano autentiche scuole popolari, da “semplici casalinghe” le donne diventano portatrici di ideali e richieste, scoprendo un coraggio che non credevano di avere, arrivando a guardare dritto negli occhi i potenti e tenendogli testa. Così le rivolte delle donne della terra dei fuochi.

Poi ci sono quelle madri che fanno del dolore inenarrabile uno strumento di lotta, resurrezione e cambiamento.

«Vogliamo poter guardare negli occhi i nostri figli e dire che facciamo davvero tutto quello che possiamo. Trasformiamo in azione il nostro dolore e la nostra frustrazione per la mancanza di una risposta da parte dei nostri politici e leader» affermano le “mothers rebellion for climate justice” un’altra rete globale di madri, nata qualche anno fa sulla scia dei movimenti climatici di disobbedienza civile. «Siamo madri, nonne, zie, sorelle, figlie e alleate in tutto il mondo. Sappiamo che i meno responsabili della crisi climatica sono anche i più colpiti. Crediamo nel potere delle madri e dei caregiver nel chiedere giustizia climatica».

Il 9 marzo in tutto il mondo e anche in alcune città d’Italia come Milano, le Mothers Rebellion sono scese in piazza per denunciare la preoccupazione per le future generazioni. Il loro metodo è molto particolare e colpisce al segno: un cerchio di mamme sedute insieme in uno spazio pubblico, ad esempio in una strada pedonale o un parco o all’esterno di un edificio governativo, che cantano insieme e tengono cartelli con i nomi dei loro figli o altri messaggi legati alla crisi climatica.

«Ci rifiutiamo di distogliere lo sguardo, ci rifiutiamo di arrenderci e faremo tutto il possibile per la vita e il futuro dei nostri figli».

 

Un profilo di Linda Maggiori

A cura di Cinzia Guaita

Linda Maggiori mamma di quattro figli, attivista, giornalista freelance è autrice del libro “Mamme Ribelli” che racconta di tante lotte ambientali al femminile in Italia (Ed. Terra Nuova). È stata recentemente insignita del premio internazionale di “Donna impegnata per la Pace e per la Nonviolenza” istituito dal Comune di Monteleone di Puglia nel Foggiano insieme all’istituto Martin Luther King di Accadia, il Centro Gandhi di Pisa in collaborazione con la cattedra #Unesco educazione globale nel Mediterraneo. Il premio è stato consegnato il 7 marzo 2024 a Monteleone di Puglia.

Un premio istituito nel 2016, in ricordo di ciò che accadde nell’agosto del 1942: fu una delle prime rivolte popolari al regime fascista guidata dalle donne che occuparono caserma e municipio al grido “Dateci il pane, dateci la pace, basta guerra, ridateci figli e mariti”. La protesta di quelle 200 donne fu repressa tra carcere e rastrellamenti. Un filo sottile lega le protagoniste di quella storia, dimenticata come tante storie di donne, a quelle raccontate da Linda. Ma a Monteleone non si vuole dimenticare e dal 2016, in ricordo di questo avvenimento, è stato istituito il premio internazionale per la Nonviolenza, assegnato Franke altre a Bernice King, avvocata e figlia di M.L.King.

Nella motivazione di quest’anno del premio si legge che «Linda Maggiori si è distinta per il suo impegno civico coerente e coraggioso in difesa della verità, senza mai lasciarsi intimidire o irretire dalle sirene della politica. Ferma e ostinata nel suo anticonformismo, pratica stili di vita alternativi, coltiva un orto biodinamico e vive senza auto, si sposta in città con la sua mitica cargo-bike o sulle lunghe distanze con treni regionali. Non rinuncia mai a denunciare gli scempi contro la natura, il consumo di suolo, il taglio immotivato di alberi, le discariche abusive, i disastri ambientali annunciati, anche a costo di essere irrisa e dileggiata».

Le lotte per l’ambiente di Linda Maggiori le sono costate per ora tre denunce per diffamazione e abnormi richieste di risarcimento a scopo intimidatorio.  Per questo è difesa dall’Associazione Ossigeno per l’informazione, che si impegna per la libertà di stampa.

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