Mamma Gina

È sera tarda. Le ultime visite sono terminate. Nel silenzio rimango solo accanto a te, mamma, per l’ultimo colloquio quaggiù. I ricordi corrono veloci. È forte il distacco, ma più forte il senso di gratitudine a Dio per il dono che tu sei stata per tutti noi. Guardo quel volto composto, pieno di dignità, dai lineamenti forti, com’è tipico di chi ha dovuto lottare nella vita – una vita intensa, lunga, laboriosissima -, ma anche dolci, perché questo era il tuo stile: l’accoglienza espressa con un sorriso. Quel sorriso che ritrovavi quando – ormai immobilizzata a motivo della malattia che ti aveva quasi privato dell’uso della parola – venivano a trovarti i tuoi pronipoti… Per loro, i più piccoli, riuscivi ancora a sorridere. Sei stata il “cuore” di una famiglia bella; dopo averci dato la vita ci hai insegnato come viverla, come affron- tarla, proprio con il tuo esempio e le tue parole semplici e sagge. Non sono stati facili per te questi 90 anni. A 34 avevi già sette figli. Non c’erano molte possibilità economiche; ma il necessario non è mancato. Soprattutto non è mancato il tuo affetto personale per ciascuno ed il tuo invito ad aiutarci, a volerci bene, ed accontentarci del poco che c’era. Quando, alla sera, eravamo tutti a letto in quel grande stanzone della Quaresimina (il cascinale paterno nella campagna lodigiana, n.d.r.), ti sembrava di possedere il mondo intero. Qualche volta ti ho vista piangere in silenzio… Non dicevi perché – ero troppo piccolo per avere le tue confidenze -; qualcosa però intuivo. Un grazie speciale perché mi hai educato, ci hai educato alla fede; ci hai insegnato a pregare. Ricordi? Ci lamentavamo perché quelle preghiere erano lunghe e avevamo sonno. Ma tu le dicevi con noi e abituavi i più piccoli a ripetere le tue parole… La domenica non potevamo perdere la messa ed il catechismo in parrocchia, neanche quando c’era la neve alta. Ci avevi procurato gli zoccoli e ci confezionavi, con le tue mani, calzettoni di lana, maglioni, sciarpe e berrettoni che passavano, col tempo, dai più grandi ai più piccoli. Poi ci sono state le scarpe. Erano così preziose che, ritornati dalla chiesa, dovevamo pulirle e lucidarle. Un’altra cosa ci ha fatto bene: l’amore che ti legava al papà. Si vedeva che vi volevate veramente bene e, se c’era qualche incomprensione, si superava subito. Ricordo l’ultimo vostro saluto. Il papà stava morendo e sembrava non capisse più. Tu ti sei inginocchiata accanto a lui, chiedendogli scusa per tutte le volte che potevi aver mancato ed averlo fatto soffrire. Con sorpresa il papà ha alzato il suo braccio destro, te l’ha messo al collo, e ti ha stretto a sé. Era il suo ultimo grazie. Tra noi due l’intesa era profonda. Sapevi tutto di me. Per questo, risultò un fulmine a ciel sereno la mia decisione di anticipare il servizio militare facendo domanda di ammissione alla scuola allievi ufficiali. Lo sai, era per poter mandare un gruzzolo a casa, giacché ce n’era bisogno, ed accantonare qualcosa per le tasse ed i testi scolastici. Ma ancora più scioccante doveva risultare, più tardi, la mia decisione di non tornare più a casa per trasferirmi prima a Milano, poi a Roma, dove avrei dato il mio apporto all’allora nascente complesso editoriale di Città Nuova (agli inizi degli anni Sessanta). Sì perché nel frattempo, a Foligno, dove frequentavo quel cor- so per ufficiali, avevo conosciuto alcuni focolarini e finito per abbracciare il loro ideale di vita. Quando ho cercato di spiegarti che era per seguire una chiamata di Dio, mi son sentito rispondere: “Io ti posso capire, perché quando dovevi nascere ti ho affidato a lui e quindi un po’ me l’aspettavo… Però il papà non so se capirà”. E difatti il papà non ha capito e ci sono stati momenti tragici: perché ero il primo figlio su cui contare anche per l’economia familiare, ma più ancora perché interrompevo il corso di chimica industriale all’università di Milano. Poi si sarebbe ricreduto per tutti e due gli aspetti: anche per gli studi che ho concluso a Roma. Intanto la tua maternità si allargava… Vari focolarini di passaggio a Lodi erano di casa da te. Seguivi attraverso Città nuova, la televisione, le nostre telefonate domenicali le iniziative e gli sviluppi dei Focolari. Nonostante la tua modesta pensione, ogni tanto mi davi il tuo contributo per aiutare i poveri nei vari continenti. L’ultima volta mi hai raccomandato: “per i bambini che hanno bisogno”. Sì, per i bambini stravedevi. Ogni vita nascente era per te motivo di gioia speciale. E questo senso della sacralità della vita in quanto dono di Dio hai saputo trasmettere anche a noi. Con dolcezza ma anche decisione hai aiutato delle mamme e dei papà per i quali l’arrivo imprevisto di una nuova creatura equivaleva ad una tragedia, ad accoglierla come “una benedizione di Dio”. E ripetevi il detto popolare: “Ogni fiöl el porta el so cavagnöl, Ogni figlio porta il suo cestello”. Da qualche anno la salute era venuta meno e ti eri trovata inferma, nella impossibilità di fare qualcosa. Per te, abituata sempre a dare, era un dolore che si sommava a quello fisico. Talvolta al telefono ti ho sentita in difficoltà: ti venivano tanti pensieri non sereni su “tutto quello che non ho fatto”, dicevi. Mi è sembrata una purificazione con cui Dio ti stava preparando all’incontro con lui. È stato allora, ricordi, che ti ho scritto quella lettera con cui ti esprimevo tutta la mia gratitudine per ciò che invece avevi fatto. So che quello scritto ti ha fatto contenta. Mi ha sempre sorpreso come tu avessi per ognuno delle tue figlie e figli un amore ed una conoscenza personale, e trovassi le parole adatte e le soluzioni giuste da suggerire. Tu comprendevi le diversità dei caratteri e dei comportamenti e non volevi giudizi. Per te, infatti, l’armonia fra tutti era il bene più prezioso. Del resto, è ciò che su cui insisti nel testamento spirituale che ci hai lasciato, grafia tremolante ma idee chiare: “Ciò che più mi sta a cuore e vi raccomando tanto è che vi vogliate sempre bene; non guardate alle cose che possono portare a discussioni e a divisioni… Siate contenti e vogliatevi bene come ve ne abbiamo voluto io e vostro padre “. Proprio per queste sue caratteristiche, la comprensione personale e il non giudizio, l’amore materno – così mi viene ora da pensare – aiuta a capire con quale amore Dio guarda ogni uomo, un amore paterno e materno insieme… Mamma Gina si è spenta il 18 gennaio, vigilia della festa di san Bassiano, il patrono di Lodi le cui reliquie si venerano nella magnifica cattedrale romanico-lombarda in piazza della Vittoria, che era anche la parrocchia di lei. Una serie di coincidenze ha fatto sì che i funerali, la mattina del 20, prendessero i connotati di una celebrazione solenne e festosa ad un tempo. La cattedrale, infatti, era ancora infiorata e addobbata per la festività del giorno precedente. E inoltre nella piazza e dintorni c’era un particolare spiegamento di vigili urbani, che proprio quella mattina, nel vicino Tempio dell’Incoronata, avevano una funzione per loro. Sicché al passaggio del corteo funebre, mamma Gina è stata da loro salutata alla stregua di un’autorità. Al figlio che questa vicenda ha raccontato veniva da sorridere, pensando alla semplicità di lei.

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