Mai più schiavi, ma figli e figlie

Sr Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, impegnata da tanti anni contro la tratta e presidente dell’associazione Slaves no more, ha ricevuto da papa Francesco l’incarico di scrivere le meditazioni per le stazioni della Via crucis al Colosseo

Sr Eugenia, quale messaggio vuole dare con le meditazioni affidatele dal papa?

La sofferenza delle donne. È un grande mondo di emarginazione e sono le donne e i bambini quelli che soffrono di più perché non hanno una possibilità di vivere come dovrebbero vivere. Questo vuole essere il messaggio lungo le stazioni della Via crucis, perché la Via crucis è Cristo e le donne dell’oggi. È una Via crucis che sottolinea gli aspetti delle tante torture, delle tante sofferenze che ancora le donne soffrono in tanti modi, in tanti Paesi e soprattutto nel nostro Paese, l’Italia. Soffrono a causa dello sfruttamento e questo è ciò che ci fa più vergogna. In un Paese cosiddetto cristiano, cattolico possiamo avere ancora circa 90 mila donne sulle nostre strade? C’è da domandarsi: chi le mette lì? Chi le usa? Sono giovani donne che hanno il diritto di vivere una giovinezza serena, tranquilla, bella, potere andare a scuola, pensare al loro futuro, invece noi le nascondiamo sulle strade perché fanno vergogna e non vogliamo vederle. Questo è stato il mio primo pensiero: far emergere la sofferenza delle donne oggi. Sono i nuovi crocifissi della storia attuale. Dobbiamo assumerci tutte le nostre responsabilità e forse il momento più adatto è questo, con il Colosseo che rievoca la sofferenza anche di altre persone nel passato, ma lì dentro dobbiamo mettere anche le persone che soffrono nel presente, in tanti modi. Questo ci aiuta a chiedere perdono al Signore: «Signore, pietà, perché anche noi troppo sovente facciamo finta di niente». Soprattutto noi donne dobbiamo sentirlo: se fosse mia figlia, se fosse mia nipote, cosa farei, cosa non farei per poterla liberare? Questo vuole essere il messaggio che dobbiamo offrire perché la sofferenza delle donne oggi è ancora grande e Cristo soffre ancora nella realtà di tante donne sparse in tutto il mondo, non solo nel nostro Paese.

 

Davanti a queste realtà, cosa si può fare?

Voi dei mezzi di comunicazione dovete insistere su questo, dobbiamo creare una cultura del rispetto e non del guadagno o di chi vuole prevalere sugli altri, che pensa «perché pago, faccio quello che voglio». Tu non puoi pagare la dignità di una persona e non puoi distruggere questa persona per i tuoi interessi, perché anche tu sei colpevole, anche tu fai parte della Via crucis di queste donne soprattutto giovani, minorenni, confuse, umiliate, distrutte. Con i mezzi di comunicazione dobbiamo tenere presenti queste situazioni e forse l’idea del papa di avere una Via crucis facendo emergere queste realtà è che insieme dobbiamo riprendere in mano la nostra cultura che è una cultura dell’accoglienza e non del disprezzo, che sa farsi carico delle sofferenze degli altri e non causare le sofferenze agli altri. Quante mamme piangono perché non vedranno più le loro figlie, che credevano che venire in Europa fosse per dare sollievo alla loro povertà e poi le hanno perse. La Via crucis può aiutare le persone a iniziare a fare delle riflessioni e a prendere delle decisioni. Questo vorrebbe essere lo scopo principale della Via crucis. Dobbiamo prendere atto che i crocifissi non erano solo di 2000 anni fa, anche noi abbiamo i crocifissi della nostra storia, le mamme che piangono per i loro figli. Una delle stazioni che mi sta tanto a cuore è proprio quella di Maria sotto la croce.

 

C’è un’esperienza che fate a Roma, in un centro di identificazione, insieme alle donne vittime della tratta…

Siamo un gruppo di 12 suore di diverse nazionalità, di diverse congregazioni e visitiamo tutte le settimane le donne che sono rinchiuse a Ponte Galeria, in attesa di sapere se avranno o no la possibilità di uscire con dei permessi per poter rimanere. Lì sperimentiamo cosa ha provato la Madonna sotto la croce a vedere quel figlio che soffriva e che moriva. Anche se lei non è riuscita a cambiare niente di quello cha capitava al figlio, era lì a morire con lui. Anche noi a volte non riusciamo a fare niente però siamo lì, presenti con queste giovani, a fare dei momenti di festa perché possano vivere la loro giovinezza in un modo sereno. Siamo lì anche a piangere per loro, perché non sanno quello che capiterà il giorno dopo. Anche noi, come Maria, sotto la croce. Questo dovrebbe essere il ruolo di ogni donna di fronte alla sofferenza altrui: dobbiamo essere donne, madri, sensibili a questa realtà, a queste situazioni, alle persone che soffrono, che vengono per chiedere un aiuto sperando di poter avere una vita migliore per loro, per i loro familiari e quante volte trovano la morte in quel mare che sognavano potesse essere un tragitto verso una meta sicura.

 

Nelle meditazioni c’è un messaggio di speranza?

La speranza che siamo tutti responsabili, tutti siamo chiamati a fare qualche cosa, a cambiare la nostra mentalità, a rendere i nostri valori umani e cristiani vivi nell’oggi. Quello che Gesù ha predicato durante la vita, quello che la Madonna ha vissuto fino al calvario, chiede a noi, soprattutto donne, di metterci in prima persona per contrastare queste forme di schiavitù e di morte; di essere donne che in continuazione sanno generare vita e donarla, perché a nessuno sia chiesto più di essere trattato come schiavo. Siamo tutti figli di Dio, siamo fratelli e sorelle, quindi siamo tutti impegnati affinché possa arrivare il momento in cui potremo dire: mai più schiavi. Dobbiamo essere i samaritani che alleviano le sofferenze, che offrono la possibilità di recuperarsi per poter vivere una vita diversa. Allora, potremo dire: non ci sono più schiavi nella nostra società ma solo figli e figlie di Dio creati per una grande dignità e per rendere questa vita più bella, più umana, più dignitosa.

 

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