L’Unione Africana: una voce inascoltata?

Nella gestione della crisi libica fondamentale coinvolgere il resto del continente: eppure, lamenta l'Ua, ciò non è avvenuto
Capi di stato dell'Unione africana

Nella vicenda libica sembra esserci una grande assente: l’Unione Africana, che riunisce tutti i Paesi del continente eccetto il Marocco. A rigor di logica si direbbe uno dei soggetti più legittimati ad avere voce in capitolo, tanto più se consideriamo che la Libia è uno dei fondatori; eppure – ha lamentato l’ugandese Ruhakana Rugunda, rappresentante permanente all’Onu dell’Ua – questa voce è stata a lungo ignorata, nonostante le proposte avanzate per una soluzione della crisi: un incontro tra il Consiglio di sicurezza e l’Alto comitato dell’Unione africana per la Libia è infatti avvenuto soltanto il 15 giugno.

 

La provocazione del conflitto L’Unione africana, ha affermato il diplomatico, aveva proposto vie di dialogo «già prima delle risoluzioni Onu 1970 e 1973, ed ha continuato a farlo in seguito»; eppure i bombardamenti sono proseguiti, senza tener conto del fatto che «un attacco alla Libia o a qualsiasi altro membro dell’Unione africana senza il consenso dell’Ua è una provocazione pericolosa». La comunità internazionale, infatti, non dovrebbe «prendere parte ad una guerra civile, ma promuovere il dialogo ed una soluzione pacifica dei conflitti».

 

Gestire il conflitto L’Unione africana potrebbe essere in questo senso un alleato molto valido, considerati i buoni rapporti di Gheddafi con l’organizzazione: il leader libico aveva infatti accettato di negoziare con il Comitato di mediazione dell’Unione, che si era recato a Tripoli lo scorso 10 aprile. Inoltre, ha fatto notare Rugunda, i Paesi africani possono fare affidamento sulla loro – purtroppo – lunga esperienza di gestione dei conflitti e di transizione verso la pace: è infatti stato introdotto per la prima volta in Burundi il concetto di “immunità provvisoria” per i criminali di guerra, così da permettere a tutte le parti di partecipare ai negoziati; diversi Paesi, sulla scia del Sudafrica, hanno istituito la cosiddette Commissioni per la verità e la riconciliazione. Soprattutto, ha aggiunto il diplomatico, i soggetti di questi negoziati devono essere africani, perché «i gruppi sostenuti dall’esterno trascurano il dialogo e la costruzione di un consenso interno, concentrandosi invece sul mantenimento di questo sostegno». Per questo «è essenziale che l’Onu lavori con l’Unione africana», che si è offerta di monitorare con le proprie truppe un cessate il fuoco – condizione essenziale per la transizione verso un sistema democratico e libere elezioni – e ha presentato una sua road map per la soluzione della crisi. Road map che, peraltro, prevede la non applicazione del mandato di cattura per Gheddafi decretato dalla Corte penale internazionale, in quanto – secondo l’Ua – ostacolerebbe il proseguimento dei negoziati.

 

Il silenzio della comunità internazionale Al di là delle dichiarazioni diplomatiche, la sensazione diffusa in Africa – soprattutto a sud del Sahara – è quella di essere ignorati dalla comunità internazionale: non solo diversi studiosi ed editorialisti denunciano il fatto che la voce dei leader africani non venga ascoltata nemmeno in sedi come le Nazioni Unite, ma alcuni di questi condannano apertamente gli interventi militari e il mutevole sostegno all’uno o all’altro leader politico come unicamente finalizzati al mantenimento dei propri interessi – soprattutto sull’approvvigionamento di materie prime – da parte degli Stati Occidentali. Più in generale, come riferisce la redazione africana di New City, «la maggior parte della gente è semplicemente stanca degli interventi militari sul suolo africano, che hanno già causato così tanti morti innocenti senza riuscire davvero a proteggere la popolazione civile».

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